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Bianchessi punta il dito: “In Italia non manca il talento. Troppa politica e troppi raccomandati”

Dal Brescia al Milan, fino al Monza: Mauro Bianchessi, maestro dei vivai italiani, racconta il calcio tra merito, visione e futuro dei giovani.

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Mauro Bianchessi

Bianchessi, il talent scout che non invecchia mai

Una vita passata a cercare talenti, con il fiuto di chi conosce il gioco anche da dietro la scrivania. Dal 1989, prima stagione da responsabile scouting del settore giovanile del Brescia, fino a oggi: Mauro Bianchessi è il filo rosso che unisce Brescia, Atalanta, Milan, Lazio e, da ultimo, Monza. Il suo mantra è rimasto immutato: “Essere stati grandi calciatori non significa saper fare i dirigenti” ha dichiarato nell’intervista rilasciata a Gazzetta Regionale. Una frase che riassume l’approccio di un uomo che al campo ha preferito l’organizzazione, la visione, la costruzione.

Monza, riconoscenza e addio

L’ultima tappa, in ordine di tempo, è stata il Monza, dove Bianchessi è arrivato nel 2023 per una ragione semplice: la parola data ad Adriano Galliani e il legame con Silvio Berlusconi, che nel 2006 – insieme a Galliani e Braida – lo aveva voluto al Milan. “La riconoscenza conta”, ripete spesso. La cessione del club, successiva alla scomparsa del Presidente, ha segnato la fine del suo ciclo brianzolo. “È normale nel calcio”, commenta. Ma il suo lavoro ha lasciato tracce: “In meno di due anni abbiamo creato un parco giocatori importante, alcuni già oggi in prima squadra: future plusvalenze”.

Settore giovanile e prima squadra

Gestire un vivaio significa coordinare almeno dieci squadre, un numero enorme di competenze e un lavoro quotidiano di pianificazione. La direzione sportiva della prima squadra, invece, guarda solo all’immediato: risultati, pressione, obiettivi a breve termine. “Mondi diversi, ma che devono comunicare”, spiega Bianchessi. È lì che si crea il ciclo virtuoso: formare in casa, valorizzare, vendere bene. Un metodo che ha applicato in ogni tappa della sua carriera.

Lazio, la rifondazione

I sei anni passati a Formello sono stati tra i più intensi. “All’inizio non c’era nulla: organizzazione, competitività, strategia. E non si vinceva mai un derby”. Alla fine del percorso, la situazione era completamente diversa: tutte le squadre nei primi due posti dei rispettivi campionati e undici ragazzi, presi a 12 anni, nel giro delle Nazionali giovanili. Oggi cita con orgoglio alcuni nomi già lanciati: Floriani Mussolini, Crespi, Ruggeri, Sardo, Milani. “Alla Lazio ho lasciato una parte del mio cuore”, ammette.

Il colpo più riuscito?

Quando gli chiedono il suo capolavoro, sorride. “Donnarumma è troppo facile”. Poi alza l’asticella: “Il colpo migliore l’ho appena individuato: deve ancora arrivare. Il campo è il giudice sovrano”.
Una dichiarazione che fotografa la sua filosofia: meno passerella, più sostanza, con la convinzione che il talento vada verificato sul prato, non celebrato sui giornali.

Italia, Mondiale e riforme

Lo sguardo si allarga al sistema calcio. “È assurdo non esserci qualificati a due Mondiali di fila. La terza ce la giochiamo agli spareggi: questa è la realtà del nostro calcio”. La sua ricetta è chiara: ridurre il numero di società professionistiche . “in Italia non c’è spazio per 100 club” . e colmare il gap economico tra Serie A e Serie B/C. Ma soprattutto, servono regole che proteggano i vivai. “Senza tutele, non conviene investire. In Primavera 1 si va all’estero per riempire le rose con profili modesti: perché?”. Propone un’idea concreta: obbligo di schierare in prima squadra almeno un Under 23 cresciuto per otto anni nel club. Identità, sostenibilità, merito.

“In Italia c’è stato, c’è e ci sarà sempre il talento – ha proseguito il dirigente, intervistato da Gazzetta Regionale – lo dice la storia del calcio. Purtroppo in questo sport c’è tanta politica e troppi raccomandati. I politici calcistici, dalle loro poltrone, fanno gli interessi di corrente, i raccomandati, quasi sempre ex calciatori idoli dei tifosi vengono messi in ruoli importanti per essere solo di facciata. Essere stato un grande calciatore non vuol dire essere un bravo dirigente. Io credo e difendo il merito”.

Il presente e il futuro

Bianchessi ha ancora un contratto con il Monza fino al 2027. “Ho avuto contatti, ma voglio prendermi tempo per ricaricarmi. Intanto giro Italia ed Europa per osservare giovani e ampliare la rete”. Tradotto: la caccia non si ferma mai. Tra intuizioni, ricostruzioni e una fede incrollabile nel merito, Mauro Bianchessi resta uno dei maestri del mestiere. E chissà che il suo “colpo migliore”, come dice lui, non sia davvero dietro l’angolo.

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