Primavera 1
Gasperini vota Del Piero e sveglia i settori giovanili: “Si guarda solo la statura, zero abilità. E la Spagna…”
L’allenatore della Roma, Gasperini, ha condiviso il pensiero di Del Piero sui settori giovanili e ha indicato la strada, applaudendo la Spagna

In The Breakfast Club (1985), un professore chiede a un gruppo di adolescenti: “Cosa vi è successo?”. E uno di loro risponde: “Niente, siamo solo diventati quello che voi volevate”. Questa battuta, pronunciata in una biblioteca e non in uno spogliatoio, fotografa perfettamente una certa deriva del calcio giovanile italiano. I ragazzi non stanno smettendo di sognare. Semplicemente, li stiamo allenando a diventare altro: più alti, più grossi, più veloci. Ma meno liberi. E forse è ora che qualcuno nel calcio parli chiaro. E alcuni lo stanno già facendo: Alessandro Del Piero e Gian Piero Gasperini hanno sollevato un velo pesante e scomodo su un settore che dovrebbe formare, non formattare.
“Fisicità e destrezza devono convivere”. Il grido di Gasperini
Gasperini ha una visione chiara e coerente, perché nasce dal vivaio. Lo ha allenato, lo ha studiato, lo ha rispettato. Il suo calcio è inclusivo per definizione: “Gioca chi è alto un metro e sessanta e chi è alto due metri”, ha dichiarato, sottolineando come lo sport più bello del mondo sia tale proprio perché accoglie differenze e le trasforma in risorse. Ma questa visione sta scomparendo. In Italia, abbiamo smesso di valorizzare l’abilità, parola chiave nel vocabolario di Gasperini. È stato lui a lanciare decine di ragazzi nel calcio professionistico, perché li guardava giocare, non semplicemente correre. E perché riconosceva in ognuno una qualità, una sfumatura, un dettaglio tecnico o umano. La “destrezza mediterranea”, come la chiama, è diventata una reliquia.
“Mancano gli educatori”. Del Piero tocca il nervo scoperto e Gasp conferma
Alessandro Del Piero non ha bisogno di presentazioni, ma oggi più che mai merita ascolto. Il suo intervento a Sky Sport è stato più di un commento: è stato un allarme. Ha puntato il dito sulla corsa sfrenata alla fisicità che ha invaso anche le giovanili delle squadre italiane. Il modello dominante è diventato quello nord-europeo, ma senza i presupposti culturali o pedagogici necessari.
“Vogliamo vincere i campionati giovanili per fare carriera, per ottenere promozioni interne”, ha detto. Ma a che prezzo? Lo dice uno che ha visto e vissuto la crescita dei veri campioni: quelli che a 14 anni non avevano muscoli scolpiti ma piedi educati e menti libere. I vivai italiani erano laboratori di talento, oggi rischiano di diventare catene di montaggio”. Gasperini a tal proposito al Corriere dello Sport ha detto: “Ho ascoltato l’intervento di Del Piero, ne ho parlato talvolta anche con lui. Se osservi una squadra dilettantistica di ragazzini e una professionistica la differenza più rilevante è nella statura. Le squadre pro selezionano regolarmente in base alla statura, alla struttura fisica. Vuol dire che non si guarda più all’abilità, alla destrezza, alla coordinazione. Perché è stata bravissima la Spagna? Perché ha rispettato la propria identità. E la propria natura, non mi piace parlare di razza, è di statura media normale, mediterranea. Noi abbiamo spostato tutto al Nord Europa. Poi però la Norvegia ci fa tre gol. La Norvegia dovrebbe vincere a hockey su ghiaccio, non tre a zero a pallone”.

Gasperini Roma
Vincere a 14 anni per fallire a 20. L’inganno della coppa in bacheca
C’è un problema serio, e nessuno può far finta di niente: in troppi allenano per sé stessi, non per i ragazzi. I settori giovanili stanno diventando trampolini di lancio per allenatori ambiziosi che inseguono un trofeo di plastica pur di guadagnarsi un contratto in più. La selezione si basa su altezza, muscolatura e rapidità, lasciando per strada tecnica, visione, coordinazione, e – soprattutto – la passione. Non è un caso che Massimiliano Allegri, non proprio un paladino del calcio spettacolo, abbia detto chiaramente: “Nei settori giovanili bisognerebbe far fare solo tecnica di base. Gli schemi non servono a nulla.”
Ma chi ha tempo per insegnare tecnica quando si deve vincere il torneo Under 13? In troppi dimenticano che formare un calciatore significa accompagnarlo nella crescita, non costruire un mini professionista da esibire in finale. L’Italia che amava il tocco, il dribbling, l’intuizione sta lasciando spazio a un modello omologato che non produce più né i Pirlo né i Totti. Per tornare a vincere davvero, non solo le coppe, ma il futuro, dobbiamo smettere di allenare per paura di perdere.
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