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“In Italia abbiamo la cultura del rimandare sempre, con i giovani è così”: Palmieri sposa la linea Velasco

Palmieri si accoda alle parole di Velasco e denuncia la sfiducia nei giovani nello sport italiano. Serve un cambio culturale per farli crescere e giocare

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Francesco Palmieri (Sassuolo)
Francesco Palmieri (Sassuolo)

Palmieri si accoda alle parole di Velasco e denuncia la sfiducia nei giovani nello sport italiano. Serve un cambio culturale per farli crescere e giocare

Sono passate tre settimane dalle parole di Julio Velasco che, con la sua solita lucidità e provocazione, aveva acceso un faro su un problema strutturale dello sport italiano, e in particolare del calcio: la sfiducia sistemica nei confronti dei giovani. Oggi, a rilanciare con forza quella riflessione, è Francesco Palmieri, ds del Sassuolo, in un’intervista al Corriere dello Sport.

Due voci autorevoli, due mondi diversi – pallavolo e calcio – ma un messaggio unico e chiaro: in Italia i giovani non giocano perché manca il coraggio di puntare su di loro. “Sono perfettamente d’accordo”, ha detto Palmieri in risposta alla provocazione di Velasco. “In Italia abbiamo la cultura del rimandare sempre, i giovani a 30 anni fanno i dirigenti delle grandissime aziende, in Italia si è sempre giovani. È una mentalità nostra che dobbiamo cercare di cambiare pian piano ma non è facile”.

Palmieri Sassuolo

Velasco e le frasi su Yamal-Pedri

“Yamal non giocherebbe in Italia, soprattutto non avrebbe giocato un anno fa, come anche Pedri che ha 18 anni. Io credo che qui non giocherebbero perché da noi c’è sfiducia e sospetto nei giovani, non sono mai pronti, oltre che una certa esterofilia”. Il paragone con Lamine Yamal, gioiello classe 2007 del Barcellona e già protagonista con la Nazionale spagnola, è emblematico. In Spagna – così come in altri Paesi europei – i talenti vengono lanciati, rischiando, a 16 o 17 anni. In Italia, invece, spesso si preferisce prendere un trentenne straniero che “dà più garanzie” piuttosto che scommettere su un ragazzo del vivaio.

Da qui anche la risposta piccata di Cannavaro: “In Italia non abbiamo Yamal o Pedri” e siamo d’accordo, ma è anche vero che certi giovani meritano sicuramente più spazio, un monito lanciato anche da Nunziata per la sua U21. “Con i giovani io penso che ogni tanto si debba battezzare qualcuno”, prosegue Palmieri. “Dargli la possibilità di dimostrare la loro possibilità e non essere sempre sotto la lente d’ingrandimento e al minimo errore poi dire che non sono pronti, così non si cresce”.

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Una cultura dell’attesa che non funziona

La fotografia che emerge è quella di un Paese sportivamente conservatore, dove il talento precoce è guardato con sospetto più che con entusiasmo. Si rimanda l’esordio, si carica il giovane di pressioni e si giudica con severità ogni errore, come se a 18 anni si dovesse già essere “pronti” per tutto.

La paura dell’errore, della figuraccia mediatica o della contestazione porta molti allenatori – spesso sotto esame – a preferire scelte conservative. “Credo che vada cambiata questa mentalità”, insisteva Velasco. “Dare più fiducia ai giovani, anche in Serie A e in Nazionale, per abbassare costi e aumentare l’entusiasmo, perché i giovani portano un sacco di entusiasmo”.

Yamal Barcellona

Yamal Barcellona

Esterofilia e corto respiro

Oltre alla diffidenza, pesa anche una certa esterofilia che deprime il talento locale. I club italiani, anche in Serie A, faticano a credere nei propri vivai e spesso guardano all’estero con eccessiva idealizzazione. Questo atteggiamento non solo impedisce la crescita dei giovani, ma gonfia i costi del mercato e rende i progetti meno sostenibili nel lungo termine. Cambiare questa mentalità, come dicono sia Palmieri che Velasco, non è semplice.

Richiede un intervento sistemico: dalla formazione degli allenatori alla politica dei club, dai media che raccontano lo sport fino alla cultura sportiva diffusa nel Paese. Non si tratta solo di far giocare qualche giovane in più: si tratta di immaginare un modello di crescita diverso, dove il rischio e l’errore fanno parte del percorso, e dove la fiducia nei giovani non sia una concessione, ma una scelta strategica. Velasco e Palmieri, con le loro parole, ci ricordano che il talento non aspetta. E che forse è l’Italia a dover finalmente smettere di aspettare.

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