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Corrado e la lezione dall’estero per il calcio italiano: “Il sistema blocca i giovani”

Giuseppe Corrado analizza la fuga dei talenti italiani. Sempre più giovani scelgono di crescere all’estero. Ecco perché il sistema va riformato.

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Giuseppe Corrado
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Giuseppe Corrado analizza la fuga dei talenti italiani. Sempre più giovani scelgono di crescere all’estero. Ecco perché il sistema va riformato

Durante la cerimonia del Premio Romano Fogli a Pisa, è intervenuto anche Giuseppe Corrado, presidente del Pisa, figura di spicco non solo nella realtà calcistica toscana ma anche nel panorama nazionale, dove da anni sostiene un’idea di calcio fondata sulla formazione e valorizzazione dei giovani. Le sue parole, pronunciate con la consueta lucidità, toccano un nodo centrale nel dibattito sul futuro del calcio italiano: la difficoltà del sistema nel promuovere e valorizzare i talenti locali, anche e soprattutto fuori dai confini nazionali. “Il problema non sono gli stranieri che non vengono qui a giocare, ma gli italiani che non vanno all’estero”, ha detto Corrado. Una frase che suona come una provocazione, ma che in realtà evidenzia un cambiamento culturale e di mentalità ancora troppo lento in Italia.

Giuseppe Corrado

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La comfort zone italiana

Per anni il calcio italiano ha vissuto in una bolla: campionato competitivo, club storici, piazze calde, visibilità mediatica. Un ambiente che, però, spesso ha rappresentato una “comfort zone” per molti giovani, preferendo la continuità di un contesto familiare al rischio – e all’opportunità – di una vera esperienza formativa all’estero.

Eppure, come giustamente sottolinea Corrado, la differenza con realtà come quella francese o inglese è sotto gli occhi di tutti: decine di giocatori di quei Paesi militano nei principali campionati europei, arricchendo il proprio bagaglio tecnico, tattico e personale, per poi tornare eventualmente a rafforzare la propria Nazionale.

L’Italia sta cambiando?

Negli ultimi anni, però, qualcosa si sta muovendo anche in Italia. Sempre più giovani talenti scelgono di tentare la via estera per crescere e trovare spazio. Non è un caso che molti club inglesi, in particolare, abbiano iniziato a puntare con decisione su giovani italiani, attratti dal mix di talento e intelligenza tattica che li contraddistingue.

Basti pensare a Destiny Udogie e Guglielmo Vicario, oggi colonne del Tottenham, o a Wilfried Gnonto, che ha scelto il Leeds per emergere prima ancora di esordire in Serie A. Riccardo Calafiori, dopo l’esperienza in Svizzera e al Bologna, è approdato all’Arsenal. C’è anche Cesare Casadei, cresciuto nell’Inter, poi passato al Chelsea, protagonista con l’U20 e 21 azzurra e oggi al Torino dopo varie esperienze in Championship.

Ma il movimento non riguarda solo i “grandi”: sono tanti anche i giovani prospetti a cercare fortuna all’estero, attratti da progetti chiari, strutture d’avanguardia e una cultura della crescita sportiva che spesso in Italia manca. Francesco Camarda ha attirato l’interesse di mezza Europa, ma già altri hanno fatto le valigie: Cher Ndour, cresciuto nel Benfica e nel PSG prima di tornare alla Fiorentina; Samuele Inacio e Filippo Mané, promesse italiane del Borussia Dortmund; Mattia Natali, passato al Bayer Leverkusen. E recentemente anche Diego Coppola, classe 2003 del Verona, è stato ufficializzato dal Brighton, club ormai noto per saper sviluppare giovani talenti in Premier League.

Un sistema da premiare (e non solo con soldi)

La proposta di Corrado è chiara: il sistema deve incentivare, anche economicamente, chi valorizza i giovani e li prepara a spiccare il volo, anche verso altri campionati. Non si tratta di “svendere” il talento, ma di creare un ecosistema virtuoso dove la formazione diventi investimento, non rischio.

In Francia e in Inghilterra questo approccio ha dato frutti visibili: giocatori temprati da esperienze diverse, adattabili, pronti a competere in Nazionale ad altissimo livello. L’Italia può e deve fare lo stesso, non solo attraverso riforme strutturali, ma anche con un cambio culturale: educare i giovani calciatori a guardare oltre i confini, senza timore.

Come dice Corrado, le Serie B e C esistono anche all’estero, e possono rappresentare un laboratorio di crescita migliore delle panchine di Serie A. È una questione di visione, e forse anche di coraggio. Per tornare ai vertici, l’Italia deve imparare a “esportare” i propri giovani. E prima ancora, deve imparare a crederci.

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