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Bucciantini: “Scuole calcio, basta pensare ai trofei: il talento è più importante dei risultati. E c’è chi paga…”
L’opinione del noto giornalista Marco Bucciantini, intervenuto dopo Italia-Norvegia 1-4, sui problemi del calcio italiano.
Italia, pesante KO con la Norvegia: il pensiero di Bucciantini
Tra gli interventi a caldo dopo la pesante sconfitta rimediata dall’Italia contro la Norvegia (1-4) a San Siro, c’è stato anche quello di Marco Bucciantini. Il noto giornalista e opinionista è intervenuto ai microfoni di Radio Sportiva, rispondendo alle considerazioni degli ascoltatori. Parole in generale molto critiche, dettate dalla delusione per un k.o. che è sì ininfluente ai fini del discorso qualificazione (l’Italia dovrà in ogni caso giocare i play-off), ma che al tempo stesso conferma una grossa differenza rispetto a un avversario come la Norvegia, che per storia e blasone non è mai stata superiore agli azzurri. Di seguito le principali risposte di Bucciantini.
Le parole di Bucciantini
Sui settori giovanili: “Sulle scuole calcio ho una mia idea: le lascerei a un livello in cui devi produrre il calciatore. Non importa quali trofei vinci, il tuo obiettivo deve essere tirare fuori un calciatore. Il talento deve essere più importante dei risultati. In altri paesi si disinteressano dei trofei e si preoccupano più di insegnare la tecnica. Il fisico ti può far vincere quando hai quindici anni, mentre la tecnica può farti diventare un calciatore, se prima non sei stato umiliato di panchine per anni, impedendoti di crescere. Penso sia un problema all’ordine del giorno di chi comanda. Ma chi comanda si preoccupa dei voti e delle carte. Siamo in un paese che si immobilizza, e che si muove solo se nasce un campione, come Sinner nel tennis. Ma è uno sport che si gioca in singolo, mentre uno sport di squadra lo devi fare con le idee e la programmazione”.
Un commento sul tema del pagare per giocare: “Questo fa parte dell’ipertrofia del professionismo in Italia, che porta le società ad avere problemi economici. Sappiamo cosa succede, c’è chi paga per giocare. Questa è un’attività in sofferenza perché non si riescono a fare le riforme e non si permette alle società di produrre calciatori senza ricorrere a queste ‘sponsorizzazioni’. Si tratta di un problema profondo, siamo rimasti indietro rispetto a tanti paesi. E parlo anche di strutture. Qui si continua a parlare di un fatto culturale per giustificare alcune cose, ma poi andremo ai Mondiali soltanto se riusciremo a passare uno spareggio. Noi lo giocheremo con l’ansia, per altre Nazionali è un sogno anche solo esserci. E se non ci andiamo, sarà un disastro. Anche per questo abbiamo perso gli spareggi”.
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