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Marchisio e l’allarme del calcio italiano: “Serve un limite agli stranieri nei vivai”
Marchisio denuncia la crisi del calcio italiano: troppi stranieri nei vivai, pochi italiani in campo. Servono regole per rilanciare il sistema.

Marchisio denuncia la crisi del calcio italiano: troppi stranieri nei vivai, pochi italiani in campo. Servono regole per rilanciare il sistema
Claudio Marchisio, ex bandiera della Juventus e della Nazionale, oggi agente sportivo, ha lanciato un allarme forte e chiaro dalle colonne del Corriere della Sera. Il calcio italiano, a suo dire, si sta allontanando dalle proprie radici formative e sta perdendo la capacità di costruire talenti in casa. A soffrirne non è solo la Serie A, ma l’intero movimento calcistico nazionale, dalle giovanili fino alla maglia azzurra.

Marchisio
L’invasione degli stranieri nei settori giovanili
Uno dei temi più preoccupanti evidenziati da Marchisio riguarda la composizione delle squadre giovanili. “Due o tre anni fa il campionato Primavera è stato vinto da una squadra senza nemmeno un italiano in campo”, racconta. Una statistica che fa riflettere, se si considera che il regolamento consente il tesseramento di giocatori extraeuropei già a partire dalla categoria under 16. Da quel momento in poi, i giovani italiani – e spesso anche quelli europei – faticano a trovare spazio.
Ancora più inquietante è il dato sulla resa di questo modello: solo il 2% degli atleti stranieri tesserati a quell’età arriva poi a giocare nel calcio professionistico. Un sistema, dunque, che sembra più improntato allo sfruttamento economico che alla costruzione di carriere solide, specialmente nei confronti di ragazzi provenienti da contesti svantaggiati.
Primavera snaturata e talenti italiani trascurati
Marchisio punta il dito anche contro la riforma del campionato Primavera, che oggi si gioca con una formula under 20 in cicli triennali. “Un tempo era riservato agli under 19, e serviva da trampolino di lancio verso il professionismo”, spiega l’ex centrocampista. “Così, a 23 anni ho giocato il mio primo Mondiale e a 26 il secondo, nel pieno della maturità fisica e mentale”.
Oggi, invece, è facile che un ventenne giochi contro un ragazzo di 17 anni, con uno sbilanciamento che penalizza la crescita agonistica di entrambi. Secondo Marchisio, il nuovo sistema rallenta il processo di maturazione dei talenti e, di conseguenza, impoverisce il bacino da cui attinge la Nazionale.

Immagine generata con IA
La proposta: quote per tutelare i vivai
Per invertire la rotta, Marchisio propone una riforma profonda del settore giovanile. La sua idea è semplice quanto radicale: limitare a tre il numero massimo di extraeuropei nelle formazioni giovanili, e fissare un tetto tra sei e otto per le prime squadre. “Bisogna mettere dei paletti”, sostiene, “perché senza regole non si crea nulla”.
Secondo Marchisio, la formazione dei giovani deve tornare ad essere un valore fondante del calcio italiano. Non solo per ragioni sportive, ma anche per restituire al movimento una funzione sociale e culturale: quella di crescere talenti, non di importarli e poi scartarli.
Italiani in campo: la crisi dei numeri
Il dato più emblematico arriva da una semplice percentuale: poco più del 35% dei giocatori presenti in Serie A sono italiani. Lo ha ricordato anche Rino Gattuso in una recente conferenza stampa, a dimostrazione di quanto il problema sia ormai sistemico. “Ci sono squadre che non schierano neppure un calciatore formato in Italia”, denuncia Marchisio.
La globalizzazione ha portato alla mercificazione anche dello sport, ma Marchisio invita a riflettere sul valore aggiunto del “produrre in casa”. Investire nei settori giovanili non significa chiudersi al mondo, ma riscoprire una vocazione che ha fatto grande il calcio italiano in passato.
Un messaggio alla Federazione (e ai club)
Marchisio non nasconde la preoccupazione, ma lancia anche un appello: “Il bello, nello sport, è formare”. Un messaggio rivolto alla Federazione, ma anche alle società di Serie A e B, troppo spesso concentrate sul profitto immediato e poco attente al futuro del movimento. Se davvero si vuole restituire alla Nazionale un’identità forte, conclude implicitamente Marchisio, bisogna ricominciare dalle fondamenta: i vivai, le scuole calcio, i percorsi formativi. Solo così si potranno ritrovare i Totti, i Del Piero, i Buffon e, perché no, i nuovi Marchisio.
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