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Dal gol scudetto con la Primavera dell’Inter, al ritiro a 26 anni: Vanheusden dice “addio” al calcio giocato
Vanheusden ha detto “stop”: addio al calcio giocato a 26 anni
Quando gli infortuni e una tenuta fisica non esaltante, ti costringono ad una scelta sofferta ma lucida: Zinho Vanheusden ha chiuso ieri la sua carriera da calciatore. Lo ha fatto aprendo il proprio cuore, con il coraggio di chi sa voltare pagina nonostante sia doloroso. Una lettera di addio al calcio giocato in cui ha chiarito come le ragioni siano di natura fisica, ma anche familiare. Ecco il riassunto di una carriera breve ma intensa, in cui il belga ha comunque avuto il tempo di incidere sulle sorti di un Campionato Primavera.
Lo scudetto con l’Inter Primavera e i primi anni in Belgio
La sliding door nell’allora giovanissima carriera di Zinho Vanheusden, è la stagione 2016/17. Nell’Inter di Stefano Vecchi, non parte come tassello inamovibile, ma si costruisce una corsia preferenziale verso l’undici titolare nella seconda parte di stagione. Presentandosi alle porte della fase finale tirato a lucido, e con una consapevolezza della propria forza che non aveva mai avuto fino a quel momento. Ai playoff si abbatte come un uragano di talento, che spazza via le avversarie: soluzione tattica molto interessante, perché permette ai nerazzurri di partire col palleggio dalla propria area di rigore. In più, sa sganciarsi in avanti per offrire opzioni alla costruzione e alla proposta offensiva. Non a caso, è prepotente e decisivo ai quarti contro il Chievo, con l’incornata che indirizza la partita all’11’, e soprattutto si ripete in finale.
Era l’11 giugno 2017, data impressa nella memoria collettiva degli appassionati di Primavera, che avrà comunque uno spazio speciale nel cassetto dei ricordi di Zinho Vanheusden. Al 17′, su schema da corner, sbuca ancora il centrale classe 1999, che fredda Cerofolini e mette nuovamente la freccia del sorpasso. Alla fine dei 90 minuti, festeggiano i nerazzurri grazie anche a Pinamonti, che sigla l’1-2 con cui si conclude la finale. Permetteteci un momento di “Amarcord”: una partita i cui protagonisti principali calcano i campi di Serie A, o almeno lo hanno fatto nel proprio passato recente. Nelle fila della viola troviamo appunto Cerofolini, oggi al Bari insieme a Castrovilli, e Sottil (che aveva firmato il momentaneo pareggio).
Nell’Inter, Di Gregorio (oggi alla Juventus) difendeva i pali, al fianco di Vanheusden c’era Gravillon (qualche comparsata in A con Sassuolo, Benevento e Torino) e la punta centrale era Pinamonti (Sassuolo, Genoa, Frosinone, Empoli e un po’ di Inter nel suo bagaglio di esperienze).
Vanheusden e una carriera da talento bello e dannato
Superato a pieni voti l’apprendistato con la Primavera dell’Inter, comincia il vortice di cambiamenti repentini, accompagnato da un rapporto conflittuale con l’infermeria. Nel 17/18 arriva la chiamata con lo Standard Liegi, ma la prima stagione tra i professionisti è condizionata da una rottura del legamento crociato, che lo tiene ai box da settembre ad aprile. È soltanto l’innesco di una spirale negativa: ai 193 giorni di stop si aggiungono altri 125 giorni per un operazione al ginocchio che gli farà saltare il finale dell’annata 2018/19 e l’inizio della successiva. Ma il destino ha cominciato ad accanirsi con l’ormai ventunenne: nel 20/21, altra ricaduta e nuova rottura del crociato, circa sei mesi lontano dai campi e il ritorno in Serie A al Genoa, per provare a ricostruire una carriera ormai fragile come le sue articolazioni.
Eppure, il conto aperto con le noie fisiche non accenna ad arrestare la propria folle corsa: in un solo anno, problemi muscolari, al ginocchio e una frattura al piede lo tengono lontano dal rettangolo verde per altri 175 giorni. E nelle tre stagioni successive, si accumulano altri 620 giorni di stop forzato per problemi di natura fisica. Il tutto porta ad un totale di 3 anni e 52 giorni fuori dal campo; nella sostanza, siamo quasi alla metà della sua intera carriera. È per questo che le sue parole di addio assumono altre sfumature: Vanheusden è arrivato ad una straziante verità, quella di essere un talento bello e dannato, che non ha mai espresso a pieno il suo potenziale perché il destino gli ha voltato le spalle con spaventosa regolarità. E ora non resta che augurargli buona fortuna.
Luca Ottaviano
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