x

x

Storie di Primavera

Siamo tutti, chi più e chi meno, schiavi del sistema. Un sistema che ormai ci impone di seguire regole esatte quando ci sediamo in tribuna a vedere delle partite. Che sia per piacere o che sia per lavoro, nel nostro caso ovviamente entrambe le cose, siamo ormai abituati a badare sempre ad ammonizioni, rimpalli, tiri, assist e mi sorge il dubbio che non riusciamo più a vedere questo sport, che tanto amiamo, nella maniera in cui abbiamo iniziato a seguirlo.

Regole esatte e statistiche che grazie all’Agente FIFA Stefano Guercini, sono riuscita ad accantonare per un po’. Questo mi ha ricordato quanto è bello seguire una costruzione dal basso, un tiki-taka, vedere un giocatore andare su ogni singolo pallone, osservare come vengono gestiti gli spazi. Sono quasi sicura che la maggior parte di noi, a fine dei 90 o più minuti, ricorda l’eventuale marcatore del match. E’ chiaro, a tutti piace vincere e a tutti, anche ai difensori, piace fare goal. Quanti però si soffermano su tutte le sfumature che fanno la differenza? 

Al giorno d’oggi, tanti sono i ragazzi che vorrebbero (o pretendono) di fare del loro sogno un mestiere, ne vediamo una quantità indefinita. E’ giusto che sia così, ma bisogna essere in grado di brillare agli occhi degli altri, soprattutto degli addetti ai lavori. Inoltre ogni tanto, anche se difficile in quanto parliamo ormai di una figura consolidata, bisognerebbe accantonare l’idea del calciatore e strutturare i ragazzi fin da piccolissimi dando loro strumenti per vedere questo sport, per ciò che effettivamente è: uno sport. Stefano ci racconta a riguardo, con grande passione, il suo punto di vista: “Negli ultimi anni sono emersi dei nuovi modelli su cui si valutano i calciatori, ce ne sono un paio che stanno facendo proseliti nel mondo, dove la valutazione viene fatta, indipendente dai giovani ma in generale, su dei parametri matematici. Quest’ultimi, vanno addirittura sopra l'impressione che può essere colta dall'occhio umano. I valori indicativi possono essere per esempio sulla distanza percorsa, piuttosto che sui passaggi corretti o altro. Con l’inevitabile valutazione tramite gli schermi, che è risultata e risulta sempre limitativa, limitante o limitata, per cui le sensazioni che si hanno e si percepiscono attraverso lo sguardo dal vivo, danno poi delle risultanze particolari e diverse, che a volte, nonostante anche i parametri matematici, vengono colte solo dall'essere e dall'occhio umano, o dalle sensazioni che si attribuiscono a determinati momenti della partita e dell'allenamento”. 

 

Il calcio non aspetta, è fatto di istanti precisi e di tempistiche e, per i giovani in sviluppo, perdere mesi di lavoro potrebbe essere decisivo in chiave futura: “Bisogna saper riconoscere i tempi di tutti i ragazzi e cercare di sfruttarli al meglio. Inoltre, ultimamente, di tempo ne hanno perso davvero tanto. La riflessione che ho fatto da agente sportivo, porta a considerare alcuni aspetti che sono legati molte volte anche alla maturazione che può esserci per un calciatore. Per alcuni di loro può avvenire a 16 anni, per altri può avvenire a 20, 22 o perché no, anche dopo. Nei tempi che il calcio detta, questo è limitante per tanti calciatori. L’opportunità che viene data ad un ragazzo che ha tra i 16 e i 18 anni, già maturo e già con delle configurazioni di esperienze importanti, non viene data al ragazzo che non è in quel momento maturo e che magari lo diventa l’anno o addirittura pochi mesi dopo. In questo modo però è già fuori dai radar e questo secondo me è un punto su cui riflettere”. 

 

Non molti riescono a considerare anche il margine di crescita e di maturazione che un giovane può avere, perchè è più facile gestire chi è già pronto. Se però da un lato, l'Agente sportivo punta a rispettare le tempistiche dei ragazzi, dall’altro pretende che ci sia dedizione, spirito di sacrificio e soprattutto, fame e passione. Focalizzandosi anche su di un aspetto che, purtroppo, accomuna tutti gli adolescenti: “Con l’incremento del Covid, ma anche con la situazione legata al fatto che in Italia e molti luoghi del mondo sono scomparsi i giochi da strada, si continua a dare precedenza ad apparecchi audio visivi quali PC, iPad e telefoni. È inquietante il fatto che i ragazzi non sanno più fare una capriola, non sanno come cadere. Ad oggi le cadute sono sempre rovinose, e spesso ti accorgi fin da subito se i ragazzi hanno giocato in strada oppure se sono cresciuti su campi sintetici. In più, non ci sono insegnanti. Oggi la parola mister è abusata. Bisogna mettere in tutti gli sport, a disposizione dei ragazzi dei veri e propri insegnanti, che riescano a trovare in loro la chiave d’ingresso che serve per aprire il loro meglio. E non parlo solo di vincere le partite, ma di evoluzioni sotto tutti i punti di vista. Io credo che questo debba essere un punto su cui la nostra federazione e le persone che sono preposte a strutturare non solo i campionati, ma le scuole calcio e i settori giovanili di cui si fa un gran parlare, debbano investire realmente. Fare sport è propedeutico ad una crescita sana, non bisogna solo indirizzarli in un'unica disciplina e quindi specializzarli  solo nel calcio, che poi magari vanno a fare nuoto, fanno una vasca e hanno dolori ovunque perché hanno messo in moto muscoli che con il calcio magari non utilizzi - continua il procuratore - il talento è giusto che debba essere allenato, ma deve essere anche un momento, come lo era un tempo, di aggregazione. Il calcio, così come tutte le attività di squadra, deve essere un motivo importante di socializzazione. Soprattutto oggi che, in una visione normale e senza pandemie, basta andare all'uscita di una scuola, ad una fermata dell'autobus, di una metropolitana e difficilmente trovi due ragazzi che si parlano tra loro, ma piuttosto trovi il dialogo tra ragazzi e telefonino. Si deve approfittare quindi delle ore in cui  lasciano il cellulare da una parte, lontano da loro, per farli socializzare. L’attività dello sport in genere, collettivo o singolo che sia, deve essere quello di allontanare i ragazzi dai media, dalle apparecchiature e quello di sviluppare quella che è la condivisione e la capacità relazionale, che portano beneficio ad essi. Ad oggi si condivide molto sui social ma poco a livello di connessione dal vivo. Il calcio può essere veramente, di nuovo, un veicolo che appassioni realmente i ragazzi, che devono vivere il calcio come passione per lo sport e non come una scorciatoia per la vita. Molte persone purtroppo lo vedono come prospettiva di lavoro già a 10, 12 o 15 anni”.

 

Parlando del suo mestiere, Guercini affronta con noi i classici, ma tutt’altro che scontati, stereotipi legati al mondo calcistico, soffermandosi su dei punti focali che non tutti i ragazzi di oggi hanno a mente come dovrebbero: “Avendo fatto il calciatore, posso dire che è vero che se sei bravo arrivi. Quello che manca oggi è l’amore verso il nostro sport. Una volta c’era una passione genuina, e si arrivava quasi esclusivamente per merito. C’erano ovviamente delle forze che accompagnavano, ma ai tempi non c’erano i procuratori, la nostra figura è arrivata dopo. La passione però, doveva essere sempre abbinata allo spirito di sacrificio. Quando io giocavo uscivo la mattina alle sei e mezza, prendevo tre autobus per andare a scuola, quattro per andare ad allenarmi e cinque per tornare a casa la sera. Tutti i giorni. Come me, centinaia di migliaia di ragazzi tra gli anni ‘50 e ‘60. Quando mi dicono che la distanza è un problema, o quando vedo genitori che portano i borsoni ai ragazzi, rimango stupito. Come troviamo colleghi che si vendono ai giocatori. A noi è capitato diverse volte di allontanare ragazzi che avevano questi ideali, che sono (e dovrebbero essere, ndr) sbagliati. Vediamo uscire ragazzi appena maggiorenni dagli allenamenti con macchine di grande valore, abbordabili per loro grazie a contratti a tante cifre. Che parametri potrebbero mai avere? Per quello il mondo del calcio è molto diseducativo. È un combattimento quello che dobbiamo fare.  Io, come altri colleghi, non mollo. Noi combattiamo e non dobbiamo mollare. Qualcosa sta cambiando, ma ci vuole tempo. Quando il ragazzo di 18 anni pretende un contratto la nostra opera, quando si è corretti, è quella di spiegare e di cercare di far capire loro che non possono fare come vogliono. Non è che prendi e vai via, ma cerchi di trovare una soluzione, proprio come si fa in famiglia”. 

Essere un agente sportivo quindi, spero sia chiaro a tutti che oltre ad essere sicuramente un bel mestiere, non è così facile come appare agli occhi di tanti: “Il calcio, in questo caso, è vissuto come una meteora impazzita dove c’è dentro un’ignoranza totale. Se provi a dire ad alcuni genitori che oltre al percorso, per esempio, Roma-Trigoria e Roma-Formello, c’è anche l’Entella, il Cittadella o il Trapani, ti fai dei nemici. Quasi come se affrontare queste distanze fosse un favore che ci fanno. Io ed il mio gruppo lavoriamo duramente, con un investimento personale, di energie ed economico, al fine di sostenere un percorso di crescita dal punto di vista psicologico, emotivo e a volte anche tecnico. Non è ovviamente il nostro ruolo, ma avendo il patentino da allenatore sarei anche in grado di poter dare consigli. Ovviamente la verità suprema non ce l'ha nessuno, però è un vantaggio in più per chi deve approcciare a questa attività e vuole realizzare il proprio sogno di avere una carriera da calciatore avere a disposizione qualcuno che ti accompagna, indossando la stessa maglia".

 

Stefano, concludendo, riprende il discorso delle statistiche e ci parla di alcuni dettagli che coglie nei giocatori: “Io faccio una suddivisione rispetto ai ruoli. Oggi c’è la tendenza ad individuare alcuni aspetti dei difensori legati alla fase offensiva, ben venga la qualità tecnica, ma io continuo a valutare in base al loro ruolo, ai loro interventi, a come si mettono con il corpo. Ecco perché abbiamo parlato di sfumature e di calcoli matematici; la cosa che non mi piace di quest’ultimi è che non ti fanno vedere altre cose che puoi cogliere in osservazione dal vivo. La palla magari può sbatterti addosso cinque volte e tu per la statistica hai cinque interventi difensivi, ma non è propriamente così. Noto ad esempio come possono accompagnare nell’azione l'attaccante, portandolo fuori dalla traiettoria della porta. Di parametri ce ne sono tanti. Da un centrocampista invece mi aspetto tempi di gioco, velocità di pensiero, capacità di far correre la palla. Principalmente però, se devo analizzare i giocatori di una partita e abbiamo ricevuto segnalazioni prima, preferisco non ascoltare e non sapere chi sia il ragazzo. Se il giocatore è valido e ha del potenziale, io devo essere in grado di vederlo. Se non l’ho notato subito, vado a vedere l’allenamento cercando di avere sempre un’osservazione dal vivo, di nuovo, a 360 gradi”. 

La matematica per lui non conta. E forse, alla fine, neanche per noi.

Primavera 1, la classifica marcatori dopo la 34^ giornata: vince Ambrosino, Di Stefano e Nasti sul podio
UFFICIALE - Vis Pesaro, il baby Agostini si trasferisce al Monza