Nazionali Giovanili
Italia U20, Riccio sfida gli Stati Uniti: “C’è un grande gruppo”
A poche ore dalla sfida contro gli Stati Uniti al Mondiale, in casa Italia U20 ha parlato il centrocampista Lorenzo Riccio.

Italia U20, Lorenzo Riccio sfida gli Stati Uniti
Ci sono ragazzi che, quando li vedi giocare, ti fanno capire subito una cosa: che il calcio, per loro, è un linguaggio naturale. Lorenzo Riccio lo parla con eleganza, visione e intelligenza tattica. Ha quella calma che non si insegna, quella sicurezza che nasce da ore di lavoro e da un talento che sa di equilibrio. Centrocampista moderno, classe 2006, cresciuto nell’Atalanta e oggi faro della Nazionale Under 20, Riccio è il punto d’equilibrio della squadra di Carmine Nunziata, attesa giovedì 9 ottobre a Rancagua per gli ottavi del Mondiale contro gli Stati Uniti (ore 21.30 italiane, diretta su Rai Sport).
Dalla Cedratese a Zingonia: il viaggio di un figlio d’arte
Nato a Gallarate, in provincia di Varese, Lorenzo ha respirato calcio fin da bambino. Suo padre è Gigi Riccio, ex centrocampista di Piacenza, Ternana e Sassuolo, oggi assistente tecnico di Gennaro Gattuso nella Nazionale maggiore. Un’eredità importante, che Lorenzo ha saputo trasformare in ispirazione, non in pressione.
Comincia a giocare a sei anni nella Cedratese, la squadra del suo paese, dove mette subito in mostra una spiccata intelligenza di gioco. A otto anni vola in Grecia, al seguito del padre allenatore dell’OFĪ Creta. Indossa quella maglia, osserva i professionisti da vicino e impara cosa significhi vivere di calcio. Al rientro in Italia, veste i colori dell’Accademia Inter, poi nel 2016 approda all’Atalanta, a soli dieci anni.
Zingonia diventa la sua seconda casa: qui affina tecnica e personalità, cresce da regista e da uomo squadra, impara a dare ritmo al gioco con pochi tocchi e a leggere in anticipo le situazioni. Un percorso lineare ma non scontato, costruito con pazienza e dedizione.
L’anima dell’Italia Under 20
Oggi Riccio è uno dei punti fermi dell’Italia Under 20 vicecampione del mondo. In Cile, dove si disputa il Mondiale di categoria, ha dimostrato personalità, equilibrio e leadership, nonostante la giovane età. L’Italia ha chiuso al secondo posto nel Gruppo D con quattro punti, dietro l’Argentina, e ora si prepara a una sfida decisiva contro gli Stati Uniti, primi del Gruppo E.
Arriva all’appuntamento dopo la beffa con l’Albiceleste: un gol annullato dopo revisione video – un tap-in da vero centrocampista d’inserimento – che avrebbe potuto cambiare la partita. La sua reazione, però, è stata esemplare: niente nervosismo, solo concentrazione. “La maglia azzurra è sempre un sogno – racconta Lorenzo -. Fare tutta la trafila delle Nazionali giovanili mi ha fatto capire il senso di appartenenza. C’è un grande gruppo, unito, e questo conta tantissimo per arrivare in fondo. Ci crediamo”.
Tra modelli e ambizione
In campo Riccio si ispira a Éderson, per la capacità di unire corsa, equilibrio e qualità. In azzurro guarda a Sandro Tonali, “per quella combinazione di tecnica e carattere”, spiega. Ma il suo idolo assoluto resta Cristiano Ronaldo, modello di disciplina, mentalità vincente e dedizione quotidiana.
Il suo ricordo più intenso in Nazionale? “L’esordio all’Europeo Under 17 contro la Spagna. Anche se abbiamo perso 2-1, è stato incredibile affrontare giocatori come Lamine Yamal e Pau Cubarsí. Ti rendi conto di quanto puoi crescere e di quanto il livello internazionale ti spinga a migliorare”.
Un equilibrio che viene da casa
A dargli forza è la famiglia: papà Gigi, mamma Maila e il fratello maggiore Matteo, classe 2003, lo accompagnano in ogni passo, insegnandogli a restare umile anche nei momenti di visibilità. “In casa nostra il calcio è sempre stato una passione, ma anche una scuola di vita”, racconta spesso Lorenzo.
Giovedì sera, quando scenderà in campo allo stadio El Teniente di Rancagua, saprà che non gioca solo per sé. Giocherà per un gruppo che sogna in grande, per una maglia che pesa e per un’idea di calcio che ha imparato da bambino: pensare prima di toccare il pallone, e farlo con la testa alta. Perché nel calcio, come nella vita, non basta esserci: bisogna saperci stare.
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