Il calcio dei grandi
Da Immobile a Dzeko, in Italia torna di moda l’usato sicuro: c’è veramente voglia di cambiare mentalità?

In Serie A torna di moda l’usato sicuro
La tendenza è confermata dalla prima parte di questo mercato estivo: in Italia va ancora di moda l’usato sicuro. Da Immobile a Dzeko: tanti i ritorni di fiamma che certificano la volontà di alcuni club di affidarsi all’esperienza piuttosto che alla freschezza. Ma siamo sicuri che questo modello paghi sul medio-lungo periodo?

Ciro Immobile
Quanti rientri inattesi
Il Bologna ha ufficializzato Ciro Immobile (35 anni) e ha nel mirino Federico Bernardeschi (31), la Fiorentina invece ha chiuso per Dzeko (39). Infine, c’è Lorenzo Insigne (34) a fare gola a molti club di medio-bassa classifica. Quattro nomi legati da una componente sicuramente importante: le tonnellate di esperienza e di conoscenza delle dinamiche di un campionato particolare come la Serie A. Piccola nota a margine: tre di questi sono anche accomunati dalla vittoria ad Euro 2020; traiettorie di carriera curiose, che quattro anni dopo li hanno riportati nell’orbita del campionato italiano ma senza avere l’appeal e lo status di qualche stagione fa. Superfluo dunque basare l’analisi soltanto sulle qualità tecniche, che rimangono indiscusse nonostante la prova del tempo: più utile invece spostare l’attenzione sulle dinamiche che portano i club italiani a puntare di nuovo su di loro, dando meno priorità al ricambio e alla freschezza.
L’arrivo di Dzeko alla Fiorentina infatti, implica una chiusura nelle gerarchie che lascerà pochissimo spazio di manovra a giovani come Caprini o Rubino (reduce da una stagione folgorante da 20 gol e 11 assist in Primavera). Anche al Bologna l’età media è destinata ad alzarsi, con Ndoye che rimane in uscita e Bernardeschi pronto a sostituirlo a livello numerico. Insomma, su questi lidi e anche altrove è centrale il tema dello sviluppo dei giovani, ma alcune mosse di mercato sembrano darci indizi chiari: la Serie A non è ancora pronta per un cambiamento radicale nelle sue abitudini.
Le eccezioni potenzialmente replicabili
In questo contesto, il paradigma di riferimento diventa ancora una volta l’Atalanta: è spartiacque infatti la soluzione adottata dalla “Dea”, che va in direzione ostinata e contraria rispetto al resto del campionato. C’è propensione anche a privarsi di qualche perno centrale, ma c’è un ricambio puntuale e dinamico per adeguare il roster alle esigenze di uno status sempre più alto in Italia e in Europa. E questo processo passa anche e soprattutto dai giovani talenti: emblematica l’operazione Ahanor, classe 2008 acquistato per circa 17 milioni e arrivato per prendersi la corsia di sinistra dopo l’uscita di Ruggeri, direzione Atletico Madrid.

Honest Ahanor (screen)
Un altro esempio importante di visione e slancio verso il futuro? Il Como di Fabregas. Riconfermato Nico Paz, leader tecnico ma ancora ventunenne e con margini di miglioramento potenzialmente infiniti. Hassane Diao (classe 2005) e Jesus Rodriguez (classe 2006) completano un tridente dall’età media di circa 20 anni. Un discorso che ottiene ancor più profondità se allargato all’intera rosa: l’arrivo di Addai (2005) e Baturina (2003) abbassa ulteriormente la cifra sull’ideale carta d’identità generale della squadra. Il picco massimo (o minimo, dipende dai punti di vista) nella scorsa stagione è stato di 24,1 nella sfida casalinga contro il Venezia; il dato però è destinato a livellarsi sempre di più verso il basso, alzando in ogni caso il livello di qualità e caratura tecnica.
Siamo dunque di fronte a due modelli che confermano l’esistenza di altre strade, che non necessariamente in Italia si ha successo se ci si affianca all’esperienza. E soprattutto, che è importante investire sul talento quando non è ancora appetibile per determinati mercati, che quando arrivano su un giocatore hanno più forza rispetto ai club di Serie A.
Luca Ottaviano
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