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Il calcio dei grandi

Copenhagen, il gol di Dadason e la filosofia “verde”: dal talento Barça al progetto Nielsen

Il club danese ha una squadra giovanissima e un vivaio in crescita: anni di lavoro invisibile e un modello che rilancia il calcio scandinavo

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Copenhagen

“Ti serve solo un’opportunità”. In tanti film sullo sport — da The Blind Side a Coach Carter — il filo rosso è sempre lo stesso: il talento va scoperto, ma soprattutto accompagnato. È quello che succede da anni al Copenhagen, che ieri sera in Champions League ha scritto un nuovo capitolo della sua storia con la rete di Dadason, classe 2008, contro il Borussia Dortmund. Non solo: in campo c’erano anche Moukoko (2004), Clem (2004) e Suzuki (2003). Una squadra giovanissima che però gioca con la personalità di chi sa dove sta andando, a prescindere dal risultato. In Danimarca, la formazione sportiva è cultura. Parte dai bambini e arriva fino al palcoscenico europeo, con un sistema che ha deciso di rispondere alla crescita della Norvegia di Haaland e della Svezia di Isak e Gyökeres con una vera rivoluzione educativa. E in testa a questa rivoluzione c’è proprio il Copenhagen.

Copenhagen e un sistema pensato per il futuro

Il cuore di tutto è Sune Smith-Nielsen, da quindici anni responsabile dello sviluppo del settore giovanile del Copenhagen, uno di quei volti poco noti al grande pubblico ma determinanti per il calcio europeo. “Non possiamo vincere senza i nostri giovani. Sono due cose che vanno di pari passo aveva dichiarato a Gianlucadimarzio.com. E poi aveva aggiunto: Non abbiamo le risorse per comprare solo giocatori. È fondamentale per noi avere in prima squadra dei ragazzi delle giovanili”.

Dietro c’è una struttura chiara e profondamente radicata: sette aree di crescita, un modello definito e costantemente aggiornato. I giovani vengono monitorati fin dagli Under 12, mentre sette scout lavorano a pieno regime sulle categorie U14, U15, U16 e U17, con una rete che copre tutta la Danimarca ma si spinge anche nei paesi nordici limitrofi. L’idea è semplice quanto rivoluzionaria: il talento si coltiva, ma soprattutto si anticipa.

L’epifania della Scandinavia: un laboratorio di nuova generazione

Il Copenhagen non guarda solo al proprio vivaio, ma si muove in tutto il nord Europa. È da lì che sono arrivati profili come Roony Bardghji, classe 2005, ora al Barcellona, passato proprio dall’academy biancoblu. Su di lui, Smith-Nielsen aveva detto: “Ha le qualità per diventare un gran giocatore. Ha una tecnica straordinaria, grande visione. Al momento pecca un po’ in fase difensiva e nella fase di pressing. Si allena sempre al massimo e ha una grande mentalità. Un profilo che rispecchia perfettamente l’identità nordica: talento, determinazione e serietà.

Questo lavoro capillare non è solo un progetto sportivo, ma anche un fenomeno sociale. In Danimarca, la partecipazione giovanile allo sport è fortemente incentivata: il calcio è il motore di aggregazione, di crescita e di ambizione. E la voglia di tenere il passo con i “vicini” norvegesi e svedesi ha portato le federazioni a puntare sulla formazione come asset principale.

Una squadra verde: il gol di Dadason e la filosofia Copenhagen

Con un’età media di circa 25 anni, il Copenhagen è tra le squadre più giovani d’Europa. E lo ha dimostrato in una delle serate più importanti della stagione, contro il Borussia Dortmund: in gol è andato Dadason, nato nel 2008, ennesimo prodotto di una filiera che non ha paura di osare. In campo c’erano altri giovanissimi come Moukoko (2004), Clem (2004) e Suzuki (2003), a conferma di una rosa costruita per crescere, non solo per vincere subito. Eppure, l’ambizione resta altissima.

Nel frattempo, il simbolo della nuova Danimarca è già sotto i riflettori: Rasmus Højlund, oggi punta del Napoli, è il volto internazionale di una generazione che ha trovato finalmente le sue fondamenta. E se il presente è pieno di luce, il futuro — in casa Copenhagen — sembra già scritto: con pazienza, programmazione e, soprattutto, coraggio.

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