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Jacopo Mirra, capitano giallorosso: “La Roma è tutto. Il sogno? Mondiale e scudetto giallorosso”

Intervista a Jacopo Mirra, capitano della Roma Primavera: sogni Mondiale e scudetto, crescita a Trigoria e salto verso il calcio dei grandi.

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Jacopo Mirra

Mirra e il sogno giallorosso: “Mondiale e lo scudetto”

Prosegue la rubrica “Dreaming Roma” e questa volta i riflettori sono tutti per il leader della Primavera giallorossa. In studio c’è Jacopo Mirra, capitano, romano e romanista, uno che Trigoria la vive praticamente da sempre. Fascia al braccio, voce tranquilla ma idee chiarissime: è lui uno dei simboli della nuova generazione che sogna in grande con la maglia della Roma.

Nato mentre l’Italia festeggiava il Mondiale

Classe 2006, nato il 10 luglio in una Roma ancora in festa per il Mondiale. Mirra sorride quando ricorda il racconto di famiglia: “Dopo i festeggiamenti erano tornati a casa dei nonni. Papà si era messo a letto per vedere in tv la festa, e mamma gli ha detto che le si erano rotte le acque. Dovevano correre tutta la Trionfale fino al Gemelli, ma c’era traffico. Io sono nato il 10, poche ore dopo la mezzanotte”. Il destino ha voluto che la sua storia iniziasse proprio nel momento in cui il calcio italiano toccava il cielo. Oggi quel bambino è un difensore che rincorre i suoi di sogni, sempre con il giallorosso addosso.

Il capitano e il ragazzo: serio in campo, solare fuori

Chi lo vede solo durante le partite, concentrato, deciso nei contrasti e attento in marcatura, forse non immagina il ragazzo che c’è fuori dal campo: “In campo o in studio sto bene in tutte e due le situazioni”, sorride. Poi aggiunge: “Mi piace divertirmi, come penso sia normale per un ragazzo di 19 anni. Scherzo molto con i compagni, anche per sdrammatizzare situazioni più tese. Mi reputo simpatico, ma l’impressione di riservatezza rimane: all’inizio sembro un po’ sulle mie, ma non me la tiro, ho solo bisogno di confidenza. Cerco anche di capire di chi posso fidarmi”. Un capitano, sì, ma prima di tutto un ragazzo che prova a vivere con leggerezza un ruolo che pesa.

Casalotti, Urbetevere e il provino che cambia tutto

Il percorso comincia sotto casa, al Casalotti, poi un anno all’Urbetevere, una delle scuole calcio più note della capitale. Da lì, la chiamata che cambia la vita: “Al Casalotti, vicino casa. Poi un anno all’Urbetevere e infine il provino con la Roma. Questo è l’undicesimo anno”.

In famiglia il calcio ha spesso i colori giallorossi: “Papà romanista, dalla parte di mamma più simpatizzanti. Papà era contentissimo quando mi hanno preso; io lo vivevo da bambino di nove anni”.

Dal gioco al calcio vero: tornei, amici e Covid

Tra gli 11 e i 12 anni Jacopo inizia a realizzare davvero dove si trova: “Prima era tutto un gioco. Poi dai 15-16 anni, con i campionati nazionali, capisci che sta diventando qualcosa di più serio”. Di questi anni si porta dietro tornei, viaggi, spogliatoi e amicizie: “Tutti i tornei da piccoli, i viaggi in Europa e in America, le amicizie con Mattia e Almaviva, che sono ancora qui”.

Il Covid lo ha colpito in piena Under 15, interrompendo ritmi e routine: “Non benissimo, come tutti, ma avendo il giardino giocavo spesso col pallone, mettevo mio fratello in porta”.

Difensore moderno: costruire, correre, pensare

Difensore centrale da sempre, Mirra sente il ruolo come parte di sé, ma sa che oggi non basta più solo saper difendere: “Molto. Oggi il difensore deve saper costruire, far partire l’azione pulita. Non è più solo difendere”. Le sue qualità le analizza con lucidità: “Mi reputo veloce e con buona tecnica. Da migliorare l’uno contro uno e la marcatura sull’uomo”. Il salto con la prima squadra gli ha mostrato il livello richiesto tra i grandi: “Ritmi altissimi, grande fisicità e tecnica. Marcare Baldanzi, Ferguson e Dovbyk non è semplice”.

Infortuni, crescita fisica e nuova consapevolezza

Lo scorso anno non è stato semplice, soprattutto dal punto di vista fisico: “Ho avuto uno sviluppo tardivo: prima non avevo fasce muscolari sviluppate, entravo in campo senza riscaldamento. Poi sono arrivati problemi al flessore: infortunio a gennaio e ricaduta. È stato un periodo buio, ma mi ha insegnato tanto: prevenzione, fisioterapia, palestra. Ora vengo prima agli allenamenti e lavoro su macchinari specifici”. La fatica, il dolore e lo stop lo hanno reso più maturo, più attento ai dettagli di una carriera che si costruisce anche fuori dal campo.

La fascia da capitano e l’ultimo anno in Primavera

Oggi è capitano, fascia al braccio e responsabilità sulle spalle: “Sì, la fascia porta responsabilità. Sono orgogliosissimo di indossarla. Cerco di aiutare i più piccoli e tenere il gruppo unito. Si può essere leader anche senza fascia, ma dare l’esempio è fondamentale”. Sa bene che questo è l’ultimo anno in Primavera: “Sì, sono consapevole che l’anno prossimo ci sarà il calcio dei grandi. Sono curioso, più che spaventato”.

Futuro, sogni e una parola sola: Roma

L’idea di un’esperienza lontano da casa non lo spaventa, ma il cuore resta qui: “Sarei curioso di vedere come mi comporto fuori dalla comfort zone. Ma il sogno è fare tutta la carriera qui”. Sul professionismo non ha dubbi: “Sì. Penso di essere sempre stato maturo anche da piccolo. Fuori dal campo curo sonno, recupero, alimentazione”.

Ripensando al bambino che era, si lascia andare a un sorriso: “No. Se l’avessero detto allo Jacopo di 8 anni, non ci avrebbe creduto. Dopo 11 anni, essere capitano all’ultimo anno è bellissimo”. I sogni sono grandi, dichiarati senza paura: “Vincere il Mondiale e lo scudetto con la Roma, come ogni bambino”.

Il prossimo step è chiarissimo: “Confrontarmi con il calcio dei grandi e farmi valere”. E la Roma, per lui, è qualcosa che va oltre il campo: “Bella, non pesante. È un orgoglio”. Poi la frase che riassume tutto il suo percorso: “Cosa significa per me la Roma? Tutto. Ho vissuto più della metà della mia vita qui dentro. Prima della Roma ricordo poco. È tutto”.

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