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Bonatti e le seconde squadre: “Non dobbiamo essere ipocriti… Tutto dipende da come l’affronti”
Andrea Bonatti analizza il ruolo delle seconde squadre nel calcio italiano e spiega cosa funziona e cosa no, con alcuni esempi.

Andrea Bonatti analizza il ruolo delle seconde squadre nel calcio italiano e spiega cosa funziona e cosa no, con alcuni esempi
Le parole di Andrea Bonatti, ex allenatore di Juventus e Lazio Primavera, ospite a Radio Sportiva, tornano a riaccendere il dibattito sulle seconde squadre nel calcio italiano. Un tema di sistema, troppo spesso affrontato con superficialità o, come ha sottolineato lo stesso allenatore, con frasi di circostanza. Ma se si vuole davvero costruire un percorso virtuoso per la crescita dei giovani calciatori italiani, è necessario andare oltre il “gregge” e analizzare con onestà cosa funziona, cosa no, e cosa possiamo imparare dall’estero.

Andrea Bonatti
L’esperienza della Juventus Next Gen
Bonatti riconosce che la Juventus Next Gen, oggi esempio virtuoso nel panorama italiano, ha saputo valorizzare il proprio patrimonio tecnico e umano. Ma non tutto è stato semplice: “Il primo anno, se vi ricordate, ha fatto tanta fatica e con una squadra molto vecchia anagraficamente”. È servita una fase di assestamento, sperimentazioni e, soprattutto, una chiara strategia societaria. Oggi la Juve può vantare una struttura che ha già portato diversi giocatori in prima squadra e altri pronti a spiccare il volo.
Il Milan futuro e l’Inter U23
All’opposto, Bonatti cita il caso del Milan, che ha compromesso la categoria in una stagione difficile, a testimonianza che la sola istituzione della seconda squadra non basta. “Bisogna fare le cose fatte bene”, ribadisce il tecnico. Ed è proprio qui che si apre il divario tra intenzione e realizzazione: il progetto è utile solo se accompagnato da scelte coerenti, staff preparati, e una visione di lungo periodo.
Anche l’Inter U23, al debutto, è oggetto di riflessione: “È partita in ritardo rispetto alle altre, ma ha avuto modo di osservare e capire meglio le varie situazioni”. Per Bonatti, il club nerazzurro può evitare gli errori dei predecessori, soprattutto se la scelta dell’allenatore dovesse ricadere su Stefano Vecchi, “bravissimo con i giovani e conoscitore della categoria”.
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Il confronto con l’estero
Bonatti offre uno spunto interessante osservando il contesto internazionale: “In Belgio, Olanda o Grecia le seconde squadre dei top club giocano nelle seconde divisioni, senza problemi di retrocessioni e con un valore tecnico più basso, ma pieno di ragazzi del 2005 o 2006. Nel contesto italiano invece non è coì perché giocano ancora in Primavera, diventata U20 anziché U19… Bisogna essere molto onesti quando si parla e si analizza questo tema per approfondirlo”. È un modello radicalmente diverso da quello italiano, dove la Primavera è diventata U20, ma i giovani ancora non affrontano con regolarità il calcio dei grandi.
La verità secondo Bonatti sta nel mezzo
“La Serie C è più formativa rispetto alla Primavera, ma dipende come la affronti”, dice Bonatti. E qui risiede il nocciolo della questione: non è la categoria in sé a fare la differenza, ma l’approccio con cui la si vive. Dall’età media delle squadre (22,6 per la Juventus o 20,8 per l’Atalanta) si possono trarre riflessioni sulle scelte societarie e sugli obiettivi reali di questi progetti. La domanda da porsi è sempre: quanti giocatori hanno fatto il salto in prima squadra?
Nel chiudere, Bonatti lancia una stoccata alla retorica da emergenza: “Siamo qui a parlare dopo un primo tempo sotto 3-0 contro la Norvegia che dobbiamo rivoluzionare tutto: ma quante volte lo abbiamo detto? Non dobbiamo essere ipocriti…”. Una verità amara, ma necessaria. Il problema della formazione dei talenti italiani non nasce da una singola sconfitta, ma da una visione spezzettata, da progetti non portati fino in fondo, e da scelte che spesso rincorrono il risultato invece della crescita.

Juve Next Gen
Il nostro pensiero sulle seconde squadre
Il modello delle seconde squadre può essere un’opportunità concreta, ma solo se inserito in una cornice strutturata, lungimirante e meritocratica. In Italia, il sistema è ancora a metà del guado: pochi club hanno investito realmente in questa direzione, e chi lo ha fatto ha impiegato anni per trovare un equilibrio. I giovani non vanno solo “lanciati”, vanno costruiti, messi alla prova, e soprattutto accompagnati in un percorso competitivo ma sostenibile.
Sarebbe un errore pensare che basti creare un’Under 23 per risolvere i problemi del calcio italiano. Come ci insegna il caso Juventus, serve molto di più: serve una cultura tecnica diversa, meno ossessionata dai risultati immediati e più incline alla programmazione vera. Solo allora le seconde squadre smetteranno di essere un tema da talk show per diventare davvero una colonna portante del nostro sistema.
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