Nazionali Giovanili
Caos Italia e problemi, Berruto: “I migliori istruttori andrebbero messi all’inizio della filiera, non alla fine”
Mauro Berruto analizza la crisi della Nazionale: tra disaffezione, mancanza di talenti e problemi nei vivai. Una riflessione urgente.

Mauro Berruto analizza la crisi della Nazionale: tra disaffezione, mancanza di talenti e problemi nei vivai. Una riflessione urgente
Mauro Berruto non è solo un ex commissario tecnico della Nazionale di pallavolo, italiana e finlandese. È un uomo di sport, ma anche un uomo delle istituzioni, con una visione ampia e multidisciplinare. Da parlamentare si è battuto per far entrare lo sport nella Costituzione, e da tecnico ha sempre concepito l’attività sportiva come un progetto educativo e culturale prima ancora che competitivo. Le sue parole, affidate a un’intervista a Tuttosport, sono un’analisi lucida, appassionata e preoccupata dello stato del calcio italiano.

Mauro Berruto
Berruto: “Disaffezione totale verso la maglia azzurra”
Berruto parte da un sentimento che un tempo univa milioni di italiani: l’orgoglio per la maglia azzurra. Oggi, invece, è affievolito, quasi scomparso. E non è solo una questione di risultati altalenanti. “Al di là delle prestazioni mediocri, c’è qualcosa di peggio ed è la totale disaffezione verso la maglia azzurra. Mi fa impazzire”.
La frattura tra club e Nazionale è diventata sistemica, alimentata da una “guerriglia permanente tra campionati e nazionali, tra club e nazionali” che attraversa tutto il mondo sportivo, non solo il calcio. “Una grande nazionale trascina il campionato e un ottimo campionato fa il bene della Nazionale” sottolinea l’ex ct. Il problema, dunque, non è solo tecnico o tattico. È culturale: è venuta meno la percezione del valore della Nazionale. Per molti atleti è diventata un ostacolo, un fastidio, un rischio d’infortunio.
Un declino lento, iniziato dopo il 2006
Per Mauro Berruto, il declino del calcio italiano ha un inizio chiaro: dopo la vittoria del Mondiale 2006, si è aperto un lungo periodo di regressione. Il punto di svolta simbolico? Il fallimentare Mondiale 2010 in Sudafrica. “È un declino lento, come una morte per assideramento… Negli ultimi quindici anni non siamo riusciti a tirare fuori un giocatore in grado di reggere il confronto con Spagna, Francia, ma anche Portogallo”.
Un dato allarmante, che Berruto mette sotto gli occhi di tutti: in quindici anni, l’Italia ha prodotto un solo calciatore che potrebbe competere in una big europea. “Chi potrebbe giocare nella Spagna o nella Francia dei nostri? Donnarumma, forse”. La diagnosi è chiara: si tratta di un fallimento sistemico, non riconducibile a un singolo responsabile. “È un problema trasversale alle componenti: chi è più colpevole fra club, associazione allenatori, Figc, Lega? Un po’ tutti, no?”.
Allenatori-istruttori: il grande fraintendimento
Una parte cruciale dell’analisi di Berruto riguarda il settore giovanile. La radice della crisi è nella formazione, o meglio, nella sua distorsione. “Se tratti quelli che allenano i giovani come quelli della prima squadra, non alleverai molti campioni. Se fai andare avanti gli allenatori delle giovanili che vincono, innescherai dei meccanismi che, notoriamente, non producono campioni”. Vincere nei settori giovanili non equivale a educare al talento.
E questa mentalità ha messo fuori gioco quelli che Berruto definisce “i veri istruttori”, cioè coloro capaci di insegnare i fondamentali, di coltivare la curiosità, la passione e l’autonomia del giovane atleta. E porta l’esempio dell’Islanda, che ha invertito la piramide: “Devi essere più bravo e preparato per insegnare uno sport a un bambino che per allenare un adulto. I migliori insegnanti e allenatori andrebbero messi all’inizio della filiera, non alla fine”.
Il respiro corto del sistema: “Così ammazzi il futuro”
Il problema, però, non è solo tecnico. È sistemico e profondamente politico. L’Italia calcistica – come il Paese – soffre di “respiro corto”, di miopia, di incapacità di guardare oltre l’evento successivo. “È la parte più preoccupante della situazione del sistema calcio italiano che, peraltro, rispecchia quella del sistema Paese che vive con una politica in continua campagna elettorale”. Nessuno si prende la responsabilità di riformare a lungo termine, perché manca il coraggio di rinunciare al consenso immediato. Ma è proprio questa paura di osare che impedisce di costruire un progetto duraturo.
“Non siamo in presenza di una serie di eventi sfortunati… c’è un processo involutivo che va avanti da almeno 15 anni e che per essere azzerato ne richiederà almeno la metà”. Serve una rivoluzione culturale, non un colpo di teatro in panchina. “È un’inerzia che non si cambia con uno schiocco di dita, che non risolvi con un guru sulla panchina della prima squadra. È un progetto culturale di lunga durata”.

Roberto Mancini
L’Europeo 2021: una vittoria, un’illusione
Berruto non contesta il valore della vittoria a Euro 2021, ma invita a non illudersi. Quella coppa è stata una splendida eccezione, non il segnale di una ripresa strutturale. “Parlare male di una vittoria non si può, anche per una questione di rispetto per chi l’ha conquistata. Ma quella coppa ci ha allontanato dalla realtà per qualche anno”. Dietro quella vittoria, non c’era un sistema sano, bensì un exploit. Il pericolo, sottolinea Berruto, è che si continui a nascondere la polvere sotto il tappeto.
Il calcio italiano è a un bivio. O riconosce i propri limiti e cambia profondamente, o si condanna a un declino lento ma inesorabile. Berruto lancia un avvertimento lucido e disilluso: non bastano le qualificazioni, né i colpi di fortuna. “Non può essere la partecipazione al Mondiale l’unico parametro. Magari al Mondiale ci andiamo perché abbiamo uno spareggio fortunato e sotto quel tappeto nascondiamo la polvere”. Il sistema, se vuole sopravvivere, deve scegliere la strada più difficile: riformarsi dal basso. Investire sugli istruttori, sui vivai, sulla cultura sportiva. Pensare a lungo termine. Altrimenti, la maglia azzurra perderà definitivamente il suo valore simbolico, diventando solo un’ombra del passato glorioso.
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