Il calcio dei grandi
Juventus-Ferrari, insuccessi e scelte discutibili: la doppia crisi dell’impero Elkann
Juventus senza scudetto dal 2020, la Ferrari dal 2007 non porta a casa un mondiale: le due realtà simbolo della famiglia Agnelli, oggi entrambe in affanno sotto la guida di John Elkann

Juventus e Ferrari, il doppio nodo di John Elkann
Due simboli italiani, un unico grande problema: la gestione. Juventus e Ferrari rappresentano da sempre due pilastri dell’identità sportiva e industriale italiana. Una nel calcio, l’altra nei motori, entrambe legate a filo doppio alla famiglia Agnelli e oggi sotto il controllo di John Elkann. Eppure, a guardare i risultati, né nella Torino bianconera, né a Maranello si respira aria di trionfo.
Negli ultimi anni, i successi si sono fatti sempre più rari, mentre crescono critiche, tensioni interne, e la percezione di una gestione poco incisiva. Elkann, uomo immagine della continuità dinastica e industriale, appare oggi più che mai distante dai risultati. La Vecchia Signora vive un periodo opaco, risollevato solo parzialmente (è un eufemismo, ndr) dalla vittoria della Coppa Italia 2023-2024. In Formula 1 la Ferrari resta inchiodata ai ricordi di un passato glorioso, con l’ultimo titolo piloti che risale al lontano 2007.

John Elkann
Juventus, dal dominio all’anonimato
Fino al 2020, la Juventus era sinonimo di successo. Nove scudetti consecutivi, cinque Coppe Italia, altrettante Supercoppe italiane, due finali di Champions League, una gestione solida e una rosa sempre competitiva. L’ultimo tricolore, firmato da Maurizio Sarri, ha però segnato l’inizio della fine. Da quel momento in poi, la Juventus ha imboccato una spirale di involuzione tecnica, gestionale e identitaria.
Allenatori cambiati uno dopo l’altro – Pirlo, Allegri, Motta, Tudor – senza una vera visione. Il mercato ha portato più confusione che rinforzi, e la penalizzazione in classifica nel 2023 ha fatto emergere fragilità profonde, anche dirigenziali. La vittoria della Coppa Italia nel 2024 è stata più un’eccezione che un segnale di rinascita. Il confronto con il passato recente è impietoso. Elkann ha affidato la gestione sportiva a uomini come Maurizio Arrivabene e poi Cristiano Giuntoli, entrambi sollevati dall’incarico successivamente, l’ex Ds del Napoli nelle scorse settimane, senza mai costruire un progetto tecnico stabile e riconoscibile.
La Ferrari che vince non è quella di Vasseur…
I risultati parlano chiaro: la Ferrari non conquista un titolo piloti in Formula 1 dal 2007 e un mondiale costruttori dal 2008. In questi anni, dalle parti di Maranello, sono passati campioni di altissimo livello — Alonso, Vettel, Leclerc, Hamilton — ma nessuno è riuscito a riportare la Rossa al vertice.
L’attuale gestione, affidata a Frédéric Vasseur per volontà di John Elkann, sembrerebbe l’ennesimo progetto destinato a naufragare: la SF-25 non si sta dimostrando all’altezza, le strategie appaiono spesso confuse, e la coesione interna sembrerebbe vacillare. Gli stessi piloti, a giudicare da atteggiamenti e dichiarazioni, appaiono frustrati e disorientati. In tutto questo, il silenzio di Elkann dopo le continue delusioni in pista, l’ultima in Canada, risulta assordante.

John Elkann e Frédéric Vasseur
Al contrario, nel mondo endurance, la Ferrari vive un momento d’oro: con quella di domenica sono tre le vittorie consecutive alla 24 Ore di Le Mans con la 499P, merito di un lavoro di team competente, guidato da Antonello Coletta. Una squadra snella, autonoma, efficiente — e, soprattutto, non direttamente influenzata dalla gestione Elkann.
Il contrasto con la Formula 1 sembrerebbe abbastanza evidente: da una parte si vince con mezzi limitati, dall’altra si fatica nonostante risorse ingenti. Viene da chiedersi se Elkann non preferisca la narrazione romantica e meno esposta del WEC a quella logorante, mediatica e iper-politicizzata della F1. Non è una prova definitiva, ma l’impressione che la Ferrari vincente sia quella “senza Elkann” si fa sempre più concreta.
Elkann, manca il cuore
Nella gestione sportiva di John Elkann manca il cuore. Non si tratta solo di numeri, risultati o trofei, ma di una visione che unisca la razionalità dell’industria alla passione dello sport, due mondi che non possono viaggiare separati, perché non sono narrazioni parallele ma realtà intrecciate, che devono alimentarsi a vicenda. Elkann ha guidato Juventus e Ferrari come si guiderebbe un gruppo industriale: con metodo, delega, distanza. Ma lo sport chiede presenza, istinto, coinvolgimento emotivo, elementi che non si leggono in un bilancio e non si decidono in un consiglio di amministrazione. Manca una regia capace di accendere l’identità, di creare appartenenza, di trasmettere un orizzonte, non solo una struttura. Manca il battito, non l’organizzazione. Manca l’anima, non il controllo. E senza cuore, nel mondo dello sport, non si vince. Ma soprattutto, non si costruisce nulla che resti.
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