Il calcio dei grandi
Inter, l’esordio di Chivu tra luci, ombre e i fantasmi di Monaco
L’Inter non va oltre l’1-1 contro il Monterrey nel match d’esordio del Mondiale per club: tante ombre e poche luci nella 1ª di mister Chivu sulla panchina nerazzurra

Chivu, pareggio amaro: Inter, identità cercasi
L’1-1 contro il Monterrey non è il risultato che l’Inter e Cristian Chivu si aspettavano per aprire la loro avventura nel Mondiale per Club. Se da un lato c’è il gol di Lautaro a salvare la serata, dall’altro si evidenziano le tante, troppe lacune di una squadra ancora in cerca di identità. Difesa ballerina, ritmo lento, occasioni sciupate e una condizione fisica approssimativa: sono questi gli elementi su cui riflettere. E sabato, contro i giapponesi dell’Urawa Red Diamonds, non ci sarà più margine d’errore.

Lautaro Martinez
Avvio in salita
Il primo tempo contro il Monterrey ha mostrato un’Inter lenta e prevedibile. Nonostante Chivu abbia scelto di mantenere lo scheletro tattico del 3-5-2 “alla Inzaghi”, la squadra è apparsa senza fluidità, incapace di costruire gioco e con un attacco – Lautaro ed Esposito – che ha faticato a dialogare.
Grave l’errore individuale di Bastoni, che regala al Monterrey l’angolo da cui nasce il vantaggio di Sergio Ramos che, libero di colpire, fa fare brutta figura ad Acerbi (marcatura discutibile) e Sommer, poco reattivo sulla capocciata dell’ex capitano del Real Madrid. Ed è proprio sulla gestione delle palle inattive che la Beneamata ha mostrato la sua maggiore fragilità: la novità difensiva – la marcatura a zona – introdotta da Chivu – al termine dei primi 90′ del nuovo corso – è sembrata più un problema che una soluzione.
Il solito Lautaro, ma non basta
L’Inter reagisce e trova il pari grazie a Lautaro, bravo a sfruttare un’incertezza della linea alta del Monterrey e un assist preciso di Carlos Augusto, tra i più in palla al Rose Bowl di Pasadena. Ma il problema resta: dipendere troppo dal proprio capitano rischia di diventare un limite, soprattutto se le alternative davanti mancano di incisività. Il solo gol dell’argentino non cancella i tanti rimpianti: occasioni sprecate da Darmian, Barella e Zalewski e una generale mancanza di precisione nell’ultimo passaggio, come ha ammesso lo stesso Chivu nel post-partita.
Volti nuovi: esordio anche per Sucic e Luis Enrique
Nel secondo tempo Chivu ha provato a cambiare le carte in tavola: dentro Luis Henrique, Sucic, poi spazio anche a Zalewski e a una variazione tattica inedita, passando prima al 3-4-1-2 e poi al 3-4-2-1. Buone le prime impressioni su Sucic e Henrique, pur con solo un allenamento sulle gambe: “Si sono impegnati, hanno corso […]. La coesione collettiva, tuttavia, ancora non c’è. Nella ripresa il pressing è salito d’intensità, ma anche i rischi non son mancati: il palo salva Sommer sulla conclusione da fuori dell’ex Betis Canales, a tempo scaduto, invece, Deossa, ostacolato da Bastoni, sfiora il colpo del ko.
Monaco, una ferita ancora “aperta”
Contro il Monterrey, all’Inter è mancato qualcosa di profondo, di invisibile ma decisivo: l’anima. Non è questione solo di moduli o assenze – quelle, pur pesanti, come Calhanoglu o Dumfries, fanno parte del gioco – ma di un blocco più intimo, mentale, che ancora riflette le ombre di quella notte maledetta a Monaco. La finale persa con il PSG non è stata solo una sconfitta, è stata una frattura emotiva, una crepa nella fiducia.
Chivu lo sa bene: ha ereditato una squadra forte, sì, ma scossa nel profondo, e lo si è visto in campo, dove alla reazione dopo il primo gol messicano non ha fatto seguito un vero cambio di marcia. Il nuovo tecnico ha provato a scuotere le certezze, a portare un soffio di novità — pressing alto, un’Inter più verticale, meno dogmatica — ma siamo ancora ai primi giri d’ingranaggio.
Alcune cose hanno funzionato: la leadership di Lautaro non vacilla, il talento di Sucic e le accelerazioni di Henrique promettono bene. Ma il resto è ancora troppo fragile: difesa insicura sulle palle inattive, manovra lenta, testa appannata. E in un torneo breve e spietato come questo Mondiale, il tempo per “costruire” semplicemente non c’è.
Servirà invece un lavoro chirurgico sulla testa dei giocatori: togliere la paura, ricostruire la fame, riaccendere la scintilla. Il rischio, altrimenti, è che il post-Monaco diventi una condanna silenziosa. La prossima sfida con l’Urawa sarà già un crocevia: più che una partita, un esame di maturità. Per Chivu e per una squadra che deve imparare in fretta a dimenticare, senza dimenticarsi chi è.
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