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Calcioscommesse, ESCLUSIVA MP – Avv. Gaetano Mari: “Serve un divieto assoluto di scommesse per tutti i tesserati, anche nei campionati giovanili”

Cinque arresti e un arbitro al centro dell’inchiesta “Operazione Penalty”. L’Avv. Gaetano Mari analizza rischi, leggi e riforme per il calcio giovanile.

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Avvocato Mari

Il nuovo scandalo scommesse che ha travolto il calcio giovanile italiano, con cinque arresti e un arbitro al centro delle accuse, apre un capitolo inquietante nel rapporto tra sport, legalità e formazione.

L’“Operazione Penalty”, coordinata dalla Procura di Reggio Calabria, ha rivelato presunti intrecci tra arbitri e scommesse su gare dei campionati Primavera e Serie C, con flussi di denaro veicolati anche attraverso piattaforme estere.

Per comprendere meglio i profili giuridici e le implicazioni etiche di questa vicenda, noi di MondoPrimavera abbiamo intervistato in ESCLUSIVA l’avvocato Gaetano Mari, esperto di diritto civile e penale dello Studio Legale Mari di Prato, da anni impegnato nelle questioni di giustizia sportiva.

Insieme all’Avvocato Mari abbiamo approfondito i punti critici del sistema, le difficoltà nel dimostrare le frodi sportive e la necessità di una riforma che estenda il divieto di scommesse a tutti i tesserati, anche nei settori giovanili.

Avvocato, partiamo dai fatti: quali sono le accuse principali formulate dalla Procura di Reggio Calabria e quali reati vengono ipotizzati a carico degli indagati in questa inchiesta denominata “Operazione Penalty”?

“Da quanto ho potuto leggere dagli articoli, credo che venga ipotizzato il reato di illecito sportivo, previsto dall’articolo 30 del Codice di Giustizia Sportiva. In casi di questo tipo, è spesso contestata anche l’omessa denuncia. Al momento, siamo ancora nella fase delle indagini preliminari, che sono coperte da segreto istruttorio; di conseguenza, non conosciamo ancora nel dettaglio le condotte attribuite ai singoli indagati.

Da quanto risulta, le persone coinvolte sarebbero arbitri, e l’inchiesta riguarda scommesse effettuate anche in Toscana, nella zona di Firenze. È probabile che, oltre all’illecito sportivo, sia contestata anche la violazione dell’articolo 24 del Codice di Giustizia Sportiva, che stabilisce il divieto di scommesse.

Questo è un problema annoso, legato alla correlazione tra illecito sportivo e divieto di scommesse, soprattutto per la distinzione tra ambito professionistico e dilettantistico. I professionisti non possono scommettere né presso centri autorizzati né non autorizzati, mentre per i dilettanti il divieto riguarda solo i centri non autorizzati.

Ciò significa che, in tornei come quello Primavera, un tesserato può scommettere su campionati diversi dal proprio, purché non riguardino la propria squadra. Questo lascia spazio a comportamenti che, pur formalmente leciti, possono degenerare in violazioni del regolamento. È una lacuna normativa che, a mio avviso, andrebbe colmata al più presto”.

Il ruolo dell’arbitro Luigi Catanoso è al centro dell’indagine. Da un punto di vista giuridico, come viene qualificata la “frode sportiva” quando a commetterla è un direttore di gara, e quali sono le pene previste dal codice penale e dalla giustizia sportiva?

“Occorre distinguere tra ambito penale e ambito sportivo. Nel codice penale, la frode sportiva è punita con la reclusione da due a sei anni e con una multa da 1.000 a 4.000 euro, ai sensi della legge n. 401 del 1989.

In ambito sportivo, invece, l’arbitro – al pari di ogni altro tesserato – è soggetto al Codice di Giustizia Sportiva e rischia la radazione. 

Essendo una condotta fraudolenta, si configura una violazione sia della normativa penale sia di quella sportiva. Pertanto, l’arbitro sarà sottoposto a un doppio procedimento: uno penale e uno sportivo”. 

Si parla di un’associazione a delinquere e di un sistema organizzato. Quanto è difficile dimostrare, in sede processuale, l’esistenza di una rete strutturata di corruzione arbitrale e non di singoli episodi isolati?

“È molto difficile. Il reato associativo, previsto dall’articolo 416 del codice penale, richiede la prova di un’effettiva collaborazione stabile e continuativa tra i soggetti coinvolti. Nei precedenti casi, come Calciopoli o Calcioscommesse, ho partecipato direttamente a diverse audizioni e posso dire che raramente si è riusciti a dimostrare una vera e propria associazione a delinquere.

Di solito, emergono rapporti individuali o di piccoli gruppi – uno o due soggetti che agiscono insieme – piuttosto che una rete ampia e organizzata. Anche quando l’accusa ipotizza l’associazione, è complicato dimostrare un collegamento stabile tra chi inizia la condotta illecita e chi ne beneficia alla fine della catena. Per questo motivo, nei processi del passato è stato quasi impossibile arrivare a una condanna per associazione per delinquere in ambito sportivo”.

L’inchiesta nasce da un’anomalia nelle scommesse su partite Primavera. Quali strumenti di controllo hanno oggi le autorità per monitorare questi flussi sospetti, e quanto sono efficaci nel prevenire fenomeni di match-fixing?

“A mio avviso, il monitoraggio dei flussi di scommesse è lo strumento principale e più efficace. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è in grado di rilevare anomalie nei volumi di gioco: quando un flusso è anomalo, scatta un allarme che può far emergere possibili combine. Considerando il numero enorme di scommesse lecite che si effettuano quotidianamente, solo un controllo costante dei flussi permette di individuare casi sospetti.

L’alternativa sarebbe l’obbligo di denuncia da parte dei tesserati, ma nella pratica questo avviene raramente: chi viene a conoscenza di situazioni dubbie spesso non ha prove concrete e quindi non si sente di denunciare. Per questo motivo, l’analisi dei flussi anomali resta lo strumento più efficace e realistico per individuare attività di match-fixing”.

Molti si chiedono come sia possibile che anche il calcio giovanile venga coinvolto in questi scandali. Dal punto di vista legale e morale, quali conseguenze possono esserci per le società e le federazioni che non vigilano a sufficienza sul proprio settore arbitrale e giovanile?

“Le società hanno una duplice responsabilità: diretta e oggettiva. Possono quindi subire pesanti sanzioni, che vanno dalla retrocessione all’ultimo posto fino all’esclusione dal campionato, alla penalizzazione di punti o alla revoca dei titoli, a seconda del grado di colpa accertato.

“L’aspetto più grave, tuttavia, riguarda il danno morale ed educativo: coinvolgere i giovani in vicende di scommesse o frodi sportive tradisce il principio olimpico dello sport come strumento di crescita etica e civile. Per questo ritengo urgente una riforma che vieti ai dilettanti qualsiasi tipo di scommessa, anche su campionati diversi dal proprio, come già avviene per i professionisti.

Dopo la recente riforma dello sport, parte del settore dilettantistico è già regolato da contratti di lavoro che lo avvicinano al professionismo. È quindi il momento opportuno per uniformare le regole e rendere il divieto di scommesse assoluto per tutti i tesserati”.

L’utilizzo di piattaforme di scommesse estere e conti non tracciabili è un tema ricorrente. Quali difficoltà incontrano le autorità italiane nel contrastare questo tipo di operazioni e nel rintracciare i flussi di denaro?

“Oggi la maggior parte delle piattaforme è tracciabile e sotto il controllo dell’Agenzia dei Monopoli. Già dai tempi dell’inchiesta di Cremona (Inchiesta Last Bet, 2011) si sono intensificati i controlli anche su piattaforme estere – thailandesi, cinesi, o comunque non europee – e gli strumenti tecnologici consentono di rilevare rapidamente i flussi anomali.

La difficoltà sta nel passaggio successivo: collegare il flusso anomalo all’effettivo tentativo di alterare una partita. Tuttavia, le procure federali e quelle della Repubblica collaborano strettamente e, grazie alla possibilità di disporre intercettazioni telefoniche e ambientali, riescono a individuare in tempi rapidi eventuali combine”.

Al momento non risultano coinvolti calciatori o tecnici. Tuttavia, in caso emergessero altri nomi, quali sarebbero le conseguenze disciplinari per i tesserati e le società, sia in ambito sportivo sia penale?

“Per i singoli tesserati, la sanzione minima prevista è di quattro anni di squalifica e 50.000 euro di ammenda, ma le pene possono arrivare fino alla radiazione, a seconda della gravità della condotta e del dolo accertato. Per le società, valgono le sanzioni già menzionate. Ovviamente, la posizione degli arbitri è ancora più delicata, perché la loro funzione di garanzia della regolarità sportiva rende l’illecito particolarmente grave”.

Guardando al futuro: questo scandalo può essere l’occasione per riformare il sistema di controllo delle scommesse e delle designazioni arbitrali? Secondo lei, quali misure concrete servirebbero per evitare che episodi del genere si ripetano, specialmente nei settori giovanili?

“A mio avviso, bisogna intervenire soprattutto sul piano etico e formativo. Gli strumenti tecnici per individuare le scommesse anomale già esistono, ma serve agire “dal basso”. Ogni società dovrebbe predisporre protocolli interni e programmi di sensibilizzazione per tutti i tesserati, organizzando incontri o convegni periodici per spiegare le conseguenze delle condotte illecite.

La prevenzione passa dall’educazione: bisogna cominciare a parlare di etica sportiva già dai settori giovanili, spiegando ai ragazzi le conseguenze gravi che comportamenti scorretti possono avere. Non si potrà mai azzerare del tutto il rischio di frodi o atteggiamenti discriminatori, ma rendere consapevoli i tesserati fin da giovani può costituire un deterrente reale”.

Si ringrazia l’Avvocato Gaetano Mari e lo Studio Legale Mari per la gentile concessione dell’intervista.

Riproduzione consentita previa citazione della fonte Mondoprimavera
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