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Brescia, Antonio Filippini: “Cellino unico responsabile. Fallimento? 3 milioni in B sono una cifra irrisoria. E sulla fusione con la Feralpi…”

Brescia retrocesso in Serie C tra le polemiche. Antonio Filippini, in ESCLUSIVA ai nostri microfoni, attacca Cellino: “Responsabile unico”. Il futuro del club è appeso a un filo.

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Antonio Filippini

Come sto? Bene… ma potrebbe andar meglio” (ride, ndr). Dopo l’esperienza sulla panchina del Genoa Femminile, Antonio Filippini – intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni – è pronto a tornare in gioco: “Sono in attesa. È stata un’esperienza bellissima, ho imparato tanto, abbiamo centrato gli obiettivi prefissati e questo mi rende molto soddisfatto”. Un percorso che lo ha arricchito umanamente e professionalmente, ma che ora lascia spazio alla voglia di una nuova sfida. E chissà che il futuro non lo riporti a Livorno, una piazza a cui è profondamente legato, avendone vestito la maglia dal 2006 al 2010, e successivamente allenato in diverse vesti: da vice di Breda e Tramezzani, fino a prendere le redini della squadra nel 2020. Un possibile ritorno che coinciderebbe con la risalita del club amaranto, finalmente di nuovo tra i professionisti, in Serie C.

Ma mentre a Livorno si festeggia, a Brescia si piange. Proprio lì, dove tutto è cominciato per i gemelli Filippini. Antonio ha vestito la maglia delle rondinelle per 12 stagioni complessive, compresi gli anni in cui la squadra sognava in grande. Gli anni d’oro di Roberto Baggio, Pep Guardiola, Luca Toni, Dario Hübner e la guida carismatica di Carlo Mazzone in panchina. Il punto più alto? La finale di Coppa Intertoto del 2001, persa solo contro il Paris Saint-Germain, ma che sancì l’ingresso del Brescia tra le realtà più affascinanti del calcio italiano di inizio millennio. Oggi tutto questo sembra appartenere a un’altra epoca.

 

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Il Brescia Calcio, dopo 114 anni di storia, ha rinunciato al ricorso contro la penalizzazione di otto punti inflitta per gravi irregolarità: la società ha infatti coperto i contributi previdenziali di febbraio e aprile usando crediti fiscali inesistenti, una mossa ritenuta fraudolenta dalla giustizia sportiva. Di questi otto punti, quattro hanno inciso direttamente sulla stagione appena conclusa, condannando la squadra alla retrocessione in Serie C, mentre gli altri quattro peseranno sul prossimo campionato. La decisione di Massimo Cellino di non impugnare la sentenza non solo certifica la retrocessione, ma spalanca scenari drammatici sul piano finanziario: senza un nuovo proprietario o una ricapitalizzazione immediata, lo spettro della liquidazione e del fallimento è sempre più reale. Così, il glorioso passato del Brescia rischia di essere travolto dal presente, lasciando una ferita aperta nel cuore di chi, come Antonio e tanti altri, quella maglia l’ha amata come una seconda pelle.

Partiamo dalle cose belle. Il Livorno è finalmente tornato tra i professionisti…

“Sì, quando è stata ufficializzata la promozione in Serie C, ho fatto i complimenti alla società sui miei social. È un traguardo che quella piazza merita, considerando l’importanza della città”.

Meriterebbe un futuro più roseo anche Brescia: per Te, bresciano doc ed ex bandiera del club, cosa si prova a vedere la tua squadra affondare dopo 114 anni di storia?

Fa molto male. Stiamo parlando di 3 milioni di euro, una cifra che per una squadra di Serie B è gestibile. Un presidente che non riesce a sostenere tale somma, non dovrebbe essere in quella posizione. Purtroppo per questa cifra si è fatta fallire una società gloriosa come il Brescia, e chi ci rimette sono i bresciani e soprattutto le persone che lavorano dietro le quinte, come i dipendenti e il settore giovanile, che da un giorno all’altro si ritrovano senza un lavoro”.

Brescia Primavera

Brescia Primavera

In città hai avuto modo di incrociare qualche tifoso, che aria si respira?

“C’è molta amarezza, un sentimento di impotenza e rassegnazione”.

3 milioni per la Serie B sono briciole. Pensi che si sia mollato troppo facilmente? Anche il sindaco magari avrebbe voluto fare di più, ma se l’imprenditore molla…

Sì, è proprio questo che fa rabbia. Le istituzioni dovrebbero intervenire prima, tutelare di più queste realtà calcistiche che rappresentano intere città. La sensazione è che ci si sia mossi troppo tardi, anche se forse i segnali c’erano già da mesi”.

Il responsabile è dunque Cellino, ma oltre a quello che è emerso nelle ultime settimane e nelle scorse ore, c’è altro che non sappiamo o che potrebbe venir fuori?

“Assolutamente sì. È lui il presidente, e quindi è lui il principale colpevole. Si è preso qualche gloria, ma ora deve assumersi tutte le critiche: è l’unico responsabile di questa situazione. Le cose che si leggono sono davvero incredibili. Probabilmente dobbiamo aspettarci altro. È una situazione complicata, ma spero che si arrivi presto a una nuova proprietà per far ripartire il Brescia, anche perché siamo già a metà giugno. Il calcio ha bisogno di programmazione: i campionati non aspettano”.

Massimo Cellino, Brescia

Massimo Cellino, Brescia

Hai mai avuto la sensazione che Cellino non volesse mai coinvolgere figure storiche del Brescia, come te o altri tuoi ex compagni?

“Mi avevano chiamato, sì, ma per fare da “parafulmine“. Ho fatto tre colloqui e al terzo avevo esplicitato di non voler assumere solamente un ruolo di facciata, volevo un ruolo decisionale. Non accetto di essere solo un prestanome. Se non posso incidere, preferisco restare a casa”.

Sotto la presidenza Corioni, Brescia ha vissuto delle annate indimenticabili, quando è arrivato Cellino, qualcuno nutriva qualche dubbio nei suoi confronti, magari per eventuali problematiche che sarebbero potute nascere in seguito alla sua nomina?

Sinceramente, quando è arrivato, noi tifosi del Brescia, ma anche gli addetti ai lavori, eravamo molto fiduciosi. Venivamo da anni difficili, e la società sembrava finalmente pronta a ripartire. Cellino, a Cagliari, nei primi anni della sua gestione, aveva fatto bene, ad eccezione dei problemi legati al tema stadio, si era dimostrato coinvolto e determinato. A Leeds aveva avuto dei problemi, è vero, ma ci sono anche tante situazioni burocratiche che in Italia non possiamo conoscere o prevedere. Nonostante tutto, a Cagliari aveva fatto bene, si era costruito un certo nome. Per questo eravamo davvero speranzosi. Come ho detto prima, sembrava che avessimo affidato le chiavi del club a qualcuno che avrebbe potuto fare la differenza. Purtroppo, non è andata come sognavamo“.

Hai avuto modo di parlarne con ex compagni come Baggio, Guardiola o altri dell’epoca d’oro?

“No, non ci siamo sentiti, ma penso che tutti la pensiamo allo stesso modo. Non ci sono parole per quanto accaduto“.

Se oggi ci fosse ancora Mazzone, come pensi avrebbe commentato la situazione?

Mazzone lo ha avuto come presidente a Cagliari (1992-1993). Forse il mister sarebbe riuscito a convincerlo a risanare il debito e a vendere la società. Lui aveva questo modo di comunicare, di fare, riusciva a coinvolgerti, magari riusciva ad impedirgli di fare questa cavolata. La cifra, ripeto, è irrisoria. Bastava rinunciare a due giocatori in rosa e si sarebbe ottenuto un buon risparmio economico. Tra stipendi, commissioni ai procuratori e potenziali entrate mancate. Secondo me ha voluto fare un dispetto verso la città e verso tutti noi tifosi. Per forza“.

Provando ad andare oltre la situazione attuale, perché una piazza storica come Brescia ha fatto così tanta fatica a restare in superficie, così lontana per riproporre un’epopea simile a quella che hai vissuto in prima persona?

Perché il calcio di oggi non può più essere gestito come una volta. Servono professionisti, perché il mercato è globale. Serve gente competente nei posti giusti, e bisogna saper delegare”.

Servono i professionisti, ma anche il cuore che aveva Gigi Corioni?

“Serve allargare la struttura, mettere persone competenti nei posti giusti, con la passione giusta. Non bastano 3 persone a fare scouting. Ci vogliono almeno 10 persone competenti e motivate. Quando mi ha chiamato, pensavo davvero di poter essere la persona giusta al posto giusto, perché ho competenza. Ma se mi chiami e poi la mia competenza viene messa in un cassetto, solo perché vuoi fare una scelta di facciata, allora mi chiedo: a cosa servo? A niente”.

Hai vissuto una situazione simile a quella di Boban, nel suo caso, con il presidente del Milan Scaroni…

Se prendi Boban, è ovvio che Boban sa di calcio, lo vive, ci mette passione. Per il Milan è stato un giocatore importante, lo ha nel cuore. E vale lo stesso discorso per me: se mi prendi, non mi puoi prendere solo per mettere lì il mio nome. Mi devi prendere perché ho competenza, ho passione, e farei di tutto per salvaguardare il valore del Brescia — il mio Brescia. Ma se invece vuoi solo tenermi lì per fare numero… non ha senso“.

Guardando al futuro, credi che sia possibile una fusione tra Brescia, Feralpisalò, Ospitaletto e Lumezzane? I tifosi che ne pensano?

“Il Lumezzane si è sfilato subito: vuole continuare il suo percorso indipendente. Anche l’Ospitaletto ha fatto lo stesso. L’unico rimasto è la FeralpiSalò di Pasini, dove c’è anche mio fratello Emanuele come vice. L’idea sarebbe quella di lasciare il titolo al Brescia e cambiare denominazione. Gli umori in città sono contrastanti: c’è chi è favorevole e chi no. Io, per ora, osservo da fuori”.

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