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Il calcio giovanile offre sempre spunti di discussione che uniscono o dividono sotto diversi punti di vista. Per approfondire la discussione noi di MondoPrimavera ci siamo affidati all’opinione di Giovanni Armanini, giornalista che vive e lavora a Berlino per conto di One Football. In passato Giovanni ha vissuto a Manchester come corrispondente per Tuttosport, esperienza che gli ha permesso di diventare uno dei conoscitori di calcio estero migliori del nostro paese.

Gli abbiamo presentato diversi temi sulla strutturazione dei vivai italiani e lui ha avuto la cortesia di esporci diverse difficoltà sistematiche che impediscono la crescita regolare dei giovani nelle Prime squadre. 

“Sarebbe giusto concentrarsi partendo dalle serie minori per comprendere il problema. E’ vero, la Serie A è il campionato in cui i teenager hanno il minutaggio minore rispetto ai primi cinque campionati continentali, ma ci sono diverse cose che non vanno alla base. Ho seguito il calcio dilettantistico per anni e non sono mai stato d’accordo con il cosiddetto ‘sistema quote’, che ora si traduce con la famosa regola dei giovani. Non è giusto che le scelte tecniche di un allenatore, siano dettate non dal puro merito sportivo, ma da regole che discriminano sulla base dell’età. Non è formante per i giovani che, anzi, dovrebbero competere con i più esperti sapendo di giocare per merito, perché i più forti, perché congeniali ad un progetto tecnico”.

“E’ altrettanto vero”- continua- "che si tende a privilegiare i settori giovanili delle squadre top, che continuamente offrono giocatori alle serie professionistiche e non, giudicati superiori ad altri pari età solo per aver indossato maglie importanti. Ma chi lo dice che i ragazzi della mia ipotetica Juniores o Berretti non possano inserirsi meglio nell’ecosistema dei grandi rispetto ad un Mister X che magari ha fatto della gran panchina in Primavera? Di conseguenza appare evidente come ci sia uno slittamento continuo di calciatori che scendono di categoria per trovare spazio e non continuano su un percorso di crescita unico. Non esistono più squadre di C che costruiscono giocatori in grado di cominciare la propria carriera ‘in casa’ per poi approdare gradualmente al grande calcio. L’esempio del Lumezzane degli anni ‘90 e 2000 che vide diversi giocatori - Brocchi e Matri su tutti - consolidarsi per poi scalare ai vertici non vale più”.

Sull’individuazione dei talenti afferma: “E’ una mancanza del nostro calcio: non si riesce a ragionare a nessun livello in maniera concreta sulle potenzialità, ma ci si focalizza sulle dimostrazioni a breve termine di un giocatore. Cito Guardiola per esprimere un concetto: trovo siano straordinari i calciatori in grado di volersi migliorare, a tutte le età e in ogni condizione. Se ci basiamo solamente sul valore sostanziale perdiamo di vista il possibile percorso di crescita dei ragazzi. Dovremmo, invece, individuare quegli atleti che ci garantiscano un miglioramento assoluto. I grandi vivai italiani si concentrano sulle doti fisiche dei calciatori che prelevano dai 14 ai 16 anni, tuttavia credo sarebbe giusto fare ragionamenti più approfonditi come accade tra diversi club di Premier League, che si affidano sempre di più a sistemi in grado di cogliere le possibilità neuro-cognitive dei calciatori, non solo per quelli giovani. Personalmente posso, ad esempio, testimoniare la bontà dell’allenamento anche attraverso la realtà virtuale, avendo lavorato un anno con una società, Rezzil, specializzata in questo partner di numerosi club inglesi di Premier.”

Per quanto concerne le seconde squadre Armanini si esprime così: “Sono contrario alle seconde squadre nel professionismo, perché seguono regole speciali e adottano misure diverse rispetto al resto delle squadre del campionato. Seguendo qui, a Berlino, il Viktoria Berlin  che milita nella terza lega tedesca, mi fa un po' storcere il naso il fatto che ci sia la seconda squadra del Borussia Dortmund che gioca, di fatto, senza reali obiettivi di classifica. Sono per la competitività a tutti i livelli, il sistema italiano per le seconde squadre (che è rappresentato solo dalla Juventus per ora) dovrebbe seguire quello spagnolo e tedesco, perciò l’idea non mi piace e per me è antisportiva. Sono molto fatalista sull’esplosione dei talenti, ma mi chiedo perché i giovani italiani non vadano all’estero in campionati di primo livello anziché scendere di categoria. Secondo me il problema non è avere pochi italiani nelle nostre squadre, ma troppo pochi pronti a scegliere di affermarsi all’estero. Fare il calciatore ai massimi livelli significa anche sacrificarsi, ma in Italia non siamo disposti a compiere un grande salto in avanti quando serve, in tutti gli ambiti. Scegliere nelle dinamiche del mercato una lega ai massimi livelli polacca o rumena potrebbe rivelarsi decisivo per la crescita professionale, ma si preferisce scendere in Serie D o in Eccellenza per restare in un ambiente che difficilmente ti aiuterà ad emergere. Rimanendo nel mondo del calcio, ho seguito Marco Rossi sin da quando allenava nel calcio bresciano, ma grazie alla sua voglia di mettersi in discussione è emigrato diventando poi con merito il Ct dell’Ungheria. Lui stesso non stenta ad ammettere che se fosse rimasto in Italia sarebbe diventato uno fra tanti. I giocatori nelle scelte professionali sono orientati dai procuratori, è vero, ma che abbiano il coraggio di andare oltre il confine per imporsi”.

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